Il sufismo e le Donne (3/4)

di Amal Oursana

 

Nonostante l’aspetto di rottura nella vita delle comunità di uomini e donne, i circoli Sufi si mantennero, per la maggior parte, aperti a entrambi i sessi, considerando le donne come esseri umani e non come femmine: come una persona con esattamente la stessa capacità di vicinanza divina e di gnosi di un uomo.

Ibn ‘Arabi, grande maestro sufi (AH 560-638; DC 1165-1240) ha dichiarato che le donne e gli uomini sono assolutamente uguali in termini di potenziale umano ed ha interpretato il “grado” concesso agli uomini al di sopra delle donne come una questione ontologica, eliminando le tipiche immagini mascoline dell’universo e sostituendole con una concezione coniugale binaria dove l’uomo e la donna sono abbinati insieme in un’unità cosmica necessaria sia a livello di Creazione che di Gnosi. Egli vede la realtà umana come unica in tutti gli esseri umani, uomini e donne. Entrambi i sessi sono uguali rispetto alla propria natura, e questa è la loro origine. La mascolinità e la femminilità sono “stati circostanziali” nell’essenza umana. Così afferma: “L’umanità unisce uomini e donne ed in essa la mascolinità e femminilità sono contingenze, non la realtà umana”. Si dice anche: “Eva è stata creata da Adamo, così lei ha due condizioni (hukm): quella dell’uomo in virtù della sua origine, e quella delle donne, in virtù della contingenza.”

Le donne hanno accesso alla perfezione spirituale e quindi a tutti i gradi di santità, compreso quello di qutb, polo, che disegna il livello più alto della spiritualità islamica. La donna si affermava nella sua opera in due modi: la Sufi e in materia di Fiqh, conoscenza della legge divina. Donne come maestro spirituale, Shaykha guida e divina madre.

In coerenza con questo Ibn ‘Arabi seguì Fatima bint AlMuthanna di Cordova, ella fu per Ibn‘Arabi tutto ciò che rappresenta lo shaykh per l’allievo. Ibn ‘Arabi, riconobbe il ruolo della gnostica di Cordoba nella sua rinascita e accettò l’ascendente spirituale su di lui, cosa che non fece mai con nessuno degli altri shaykh che ha accompagnato e seguito durante la sua vita. Fatima recitava la Fatiha, la prima sura del Corano, l’Aprente, e Ibn Arabi raggiungeva le stazioni divine per mezzo della sua guida.

A titolo di esempio si deve citare Rabi’a AlAdawya (AH 95-181; DC 713-801), nata a Bassora, Iraq, sopranominata “la madre del bene”. Ella ha dato uno dei maggiori contributi al sufismo. Rabi’a venne fatta schiava e venduta in seguito alla morte dei suoi genitori. Riesce, di seguito, ad ottenere la libertà grazie alla sua devozione e santità che la ricoprono di una luce che abbaglia e spinge il suo padrone a liberarla.

Si ritira nel deserto compiendo i suoi pellegrinaggi creando con Dio un dialogo d’amore che diviene una fonte d’ispirazione nuova in seno all’Islam.

“Voglio spegnere i fuochi dell’inferno e bruciare le ricompense del Paradiso. Bloccano la via verso Dio. Non voglio adorare per paura della punizione o per la promessa di una ricompensa, ma semplicemente per l’amore di Dio”.

Nell’islam non si parla di nubilato, né sono raccomandati gli eccessi, prevale infatti la via di mezzo, “wastanya”, mentre Rabi’a si espone alla povertà estrema, al nubilato, e persino al vegetarianismo.

Pratiche che risentono di un’influenza più orientale visto l’islamizzazione della Persia e il ponte attraverso il quale sono arrivate influenze mistiche induiste; sappiamo come le vie mistiche all’interno delle varie correnti religiose, si incontrano molto facilmente. Bassora, infatti, era un porto di incontri e idee al tempo in cui vi viveva Rabi’a.

Includendola tra i santi nella sua serie di brevi biografie, Farid AlDin Attar scrisse: “Se qualcuno chiede: ‘perché hai incluso Rabi’a tra i ranghi degli uomini?’ la mia risposta è che il profeta stesso disse: ‘Dio non considera le tue forme esteriori …’. Inoltre, se è lecito derivare i due terzi della nostra religione da Aisha, sicuramente è lecito prendere istruzioni religiose da una ancella di Aisha.” Attar aggiunse inoltre “Rabi’a non era una sola donna ma valeva più di un centinaio di uomini.”

Tra i numerosi allievi di Rabi’a troviamo il maestro sufi Hassan AlBasri che dialogava con Rabi’a ininterrottamente dimenticando di essere lui un uomo e lei una donna.

Uomini e donne che hanno raggiunto uno stato avanzato nella via mistica, liberi dagli attaccamenti della carne, possono entrare in relazione con chiunque senza cadere in tentazione. Rabi’a conosceva gli hadith (racconti) del Profeta e il fiqh (la scienza islamica), ma se ne allontana per seguire la propria via, che non permette di perdersi in complicati intellettualismi, incapaci di portare l’essere umano all’unione con Dio. La scienza è utile solo se è capace di portare a tale unione, solo se è la “scienza del cuore” il resto delle scienze per Rabi’a rappresentano una distrazione dalla vera realtà, haqiqa.

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