Nagorno Karabakh, quale trattato di pace?

Dopo la conquista della città di Shusha, che fu teatro di violenti scontri già durante gli anni’90 e simbolo del Nagorno Karabakh, un nuovo accordo è stato firmato da Armenia e Azerbaijan per placare gli scontri nell’enclave armeno.

Dopo più di un mese dall’inizio dei combattimenti, il dieci novembre scorso il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha firmato un trattato di pace che segna una schiacciante sconfitta per l’Armenia. Lo stesso ha dichiarato: “Firmare l’accordo è stato estremamente doloroso per me personalmente e per il nostro popolo”.  Al medesimo modo il leader del Nagorno, Arayik Harutyunyan, ha aggiunto che se le ostilità fossero continuate con tale ritmo, l’Armenia avrebbe perso comunque la regione in questione.

L’accordo, firmato sotto l’egida della Russia prevede: che tornino sotto il controllo azero tre dei sette distretti situati nel territorio armeno e il Nagorno controllati dall’Armenia dopo la guerra del 1994. Inoltre, le forze di peacekeeping russe verranno dispiegate lungo il fronte del Nagorno e nel corridoio tra questo e l’Armenia.

Dopo l’annuncio a Baku, capitale dell’Azerbaijan, la popolazione è scesa per le strade a festeggiare la fine degli scontri armati. Sono poi seguiti numerosi disordini da parte armena, come simbolo di protesta contro l’accordo raggiunto, fra saccheggi e azioni violente ai danni degli uffici pubblici.

Ad oggi migliaia di armeni stanno lasciando le zone attorno al Nagorno che verranno presto cedute all’Azerbaijan. Molti di loro pur di non lasciare le abitazioni agli azeri, le stanno dando alle fiamme. Un abitante del villaggio ha dichiarato: “Questa è casa mia, non posso lasciarla ai turchi” indicando gli azeri. Dall’altra parte i residenti di Kalbajar in Azerbaijan, zona controllata per decenni dai separatisti armeni, hanno iniziato un massiccio esodo dopo l’annuncio dell’accordo e riprenderanno il controllo della zona.

Questa mossa evidenzia ancora una volta la scarsa efficacia del Gruppo di Minsk e soprattutto del potere occidentale rappresentato da Francia e Stati Uniti. Ma dietro questa schiacciante vittoria, azera, c’è molto di più: Mosca, che aveva già delle basi militari in Armenia, sta rafforzando la sua presenza nel Caucaso meridionale.

Secondo Nona Mikhelidze, ricercatrice dell’Istituto Affari Internazionali, quello che sta prevalendo è un allineamento valoriale in cui “hanno vinto i dittatori”. L’asse Azerbaijan, Russia e Turchia è guidato da sistemi autoritari, mentre l’Armenia ha portato avanti una politica di apertura in cui la lotta alla corruzione, conclusasi con l’incarcerazione di alcuni oligarchi vicini alla Russia, non è stata apprezzata dal Cremlino.

Quello che sembra è che tale accordo vada oltre gli interessi delle popolazioni, prevarichi il godimento dei diritti umani e che sia piuttosto una disputa fra potenze in cui la Russia gioca un ruolo determinante nello scacchiere della politica internazionale.

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