Il Nagorno Karabakh fra diritto internazionale e interessi energetici

La guerra del Nagorno Karabakh è spesso presentata come un conflitto religioso, tuttavia, dietro c’è molto di più. Possiamo dire che è l’ennesimo confronto indiretto tra la Russia, sponsor dell’Armenia e la Turchia sostenitrice dell’Azerbaijan; in cui al centro di queste orbitano interessi economici legati alle pipeline di gas e petrolio. La ragione contesa è, infatti, il crocevia di questi.

Le due città facenti parte dell’ex Unione Sovietica, con la dissoluzione dell’Urss, gli Armeni del Nagorno, regione precedentemente unita all’Azerbaijan per volontà di Stalin, si autoproclamarono repubblica indipendente facendo esplodere il conflitto. Da allora si è parlato per lungo tempo di “conflitto congelato” o “ciclico”, ma gli accademici hanno ampiamente spiegato che in effetti questo ha subito grossi cambiamenti nel tempo: dagli attori coinvolti (come il consolidamento della struttura delle autorità de facto del Nagorno), agli interessi che si sono rafforzati nel corso del tempo (l’Azerbaijan si è rafforzato grazie ai numerosi giacimenti di petrolio e gas). Dunque, è improprio definirlo tale.

Ad oggi, però, qual è il vero problema? In effetti i problemi sono molteplici:

Sulla base del diritto internazionale ci troviamo difronte al principio di auto-determinazione dei popoli che è in netto contrasto con il principio di integrità territoriale. Da una parte si ha, dunque, la possibilità per questa porzione di terra di diventare Stato, ovvero di associarsi od integrarsi ad altro Stato indipendente. Ma dall’altra il principio di auto-determinazione dei popoli non dovrebbe essere riconosciuto qualora comporti lo smembramento dell’unità territoriale (rivendicato dall’Azerbaijan).

Inoltre, sul frangente europeo a rischio risulta essere la sicurezza delle forniture di petrolio e gas. A causa delle ostilità, il vicepresidente della compagnia energetica SOCAR ha affermato che ad essere in pericolo è il trasporto di risorse energetiche dal mar Caspio ai mercati globali. Ha anche aggiunto che questa lotta potrebbe compromettere la costruzione del Gasdotto Trans-Adriatico, la cui finalizzazione è prevista per la fine di novembre e consentirà di far arrivare gas all’Italia attraverso la Turchia, Grecia e Albania.

L’escalation della brutalità, che si è riaccesa lo scorso luglio, ha causato molteplici violazioni. Il Rapporto di Amnesty International del 30 ottobre 2020 asserisce che nel corso dei conflitti nel Nagorno Karabakh sono state utilizzate bombe a grappolo, vietate dal diritto internazionale attraverso un trattato che vincola oltre 100 Stati, colpendo numerosi centri abitati.

 Ad oggi il Gruppo dei Paesi di Minsk (struttura di lavoro creata nel 1992 allo scopo di incoraggiare una soluzione pacifica dopo la guerra del Nagorno-Karabakh) si è dimostrato del tutto inefficace perché non è riuscito a porre rimedio a questa situazione. Una possibile soluzione sarà sicuramente difficile da trovare. Ma potrebbe essere auspicabile un approccio che utilizzi gli strumenti di soft power, coinvolgendo la società civile dal basso come occasione di incontro culturale e non politico.

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