L’educazione scolastica dei musulmani in Europa (2)

(segue)

di Vasco Fronzoni,
docente esperto in Diritto musulmano 

Approcci interculturali
Il M.I.U.R. italiano già dal 2012 ha sancito la necessità di predisporre idonei approcci interculturali della didattica: “(…) fino a tempi assai recenti la scuola ha avuto il compito di formare cittadini nazionali attraverso una cultura omogenea. Oggi, invece, può porsi il compito più ampio di educare alla convivenza proprio attraverso la valorizzazione delle diverse identità e radici culturali di ogni studente (…) la scuola deve progettare e realizzare percorsi didattici specifici per rispondere ai bisogni educativi degli allievi. Particolare attenzione va rivolta agli alunni con cittadinanza non italiana (…) Tra loro vi sono alunni giunti da poco in Italia e alunni nati in Italia. Questi alunni richiedono interventi differenziati che non devono investire il solo insegnamento della lingua italiana ma la progettazione didattica complessiva della scuola e quindi dei docenti di tutte le discipline”.
Dunque, si sceglie di intraprendere una educazione inclusiva ed un aspetto centrale del processo dell’inclusione scolastica degli alunni con cittadinanza non italiana è la loro distribuzione tra le scuole e, all’interno delle classi. Al fine di evitare la concentrazione degli alunni con cittadinanza non italiana in determinate scuole e favorire piuttosto una loro distribuzione equilibrata, il M.I.U.R. ha fissato alcuni criteri organizzativi. In base a tali disposizioni il numero di alunni con cittadinanza non italiana con ridotte conoscenze della lingua italiana non deve superare di norma il 30% degli iscritti in ciascuna classe e in ciascuna scuola.

Competenze linguistiche
Gli studenti neoarrivati con scarse competenze linguistiche vengono generalmente inseriti in classi o seguono lezioni preparatorie a parte per acquisire gli strumenti adeguati a seguire le normali lezioni. Tuttavia, tale separazione può ostacolare la rapidità del processo di integrazione per cui 21 paesi, fra cui l’Italia, limitano la durata di questo percorso separato, generalmente, fino a un massimo di uno o due anni. Una disposizione normativa un po’ datata, inoltre, stabilisce che l’assegnazione alle classi è effettuata, ove possibile, raggruppando alunni dello stesso gruppo linguistico che, comunque, non devono superare il numero di cinque per ogni classe. Al riguardo sembra opportuno ripartire gli alunni stranieri in ragione di qualche unità soltanto per classe, al fine di agevolarne la naturale integrazione linguistica, mentre può essere utile costituire gruppi anche superiori alle cinque unità nei momenti di specifiche attività linguistiche. E’ a scuola che i figli degli immigrati imparano ad interagire con quegli “altri” la cui lingua madre, il cognome e in certi casi anche l’apparenza esteriore sono diversi. È tra i banchi che i minori stranieri entrano in confidenza con i codici linguistici e culturali della società in cui i genitori hanno scelto di vivere. Ed è sempre qui che si possono acquisire gli strumenti cognitivi e pratici con cui realizzare, una volta cresciuti, l’inserimento sociale. È per questi motivi che, nello studiare il fenomeno migratorio, la comunità scientifica ha subito appuntato l’attenzione sulla scuola.

Cibo e religione
Anche la mensa costituisce un’altra necessità per gli studenti musulmani poiché una scuola multiculturale deve tenere conto delle esigenze e delle abitudini alimentari degli studenti, sia in riferimento a fattori salutari quali allergie ed intolleranze, sia in considerazione di valori confessionali, per promuovere l’inclusione sociale e la convivenza civile. Tuttavia, bilanciare un menu halal in una mensa scolastica non significa, soltanto, eliminare la carne di maiale come molte volte erroneamente si crede e si fa, ma vuol dire seguire una procedura più ampia e complessa, poiché l’alimentazione lecita per il credente, volendo restare soltanto in tema di carne, è quella che arriva ad un prodotto finale attraverso l’osservazione di un disciplinare ben individuato che tracci l’origine del prodotto, il metodo di macellazione, di trasformazione, di preparazione e di somministrazione degli alimenti per e nelle mense scolastiche.

Ma se pure sei osservasse il disciplinare halal, la scuola non risulterebbe ancora inclusiva e rispettosa del diritto alla libertà religiosa dei suoi studenti musulmani, in quanto dovrebbe essere prestata attenzione anche al momento di somministrazione degli alimenti, per rispettare effettivamente le esigenze confessionali dei minori. Durante il mese del digiuno, infatti, è noto che il credente deve astenersi da cibo, bevande (e rapporti sessuali), dall’alba al tramonto. L’impegno non è di poco conto e la direzione scolastica oltre ad immaginare di non pretendere troppo dagli alunni musulmani in questo periodo specifico dell’anno in cui sono sottoposti ad un regime ed uno sforzo particolare, dovrebbe prestare attenzione anche ad immaginare modalità di somministrazioni alternative del pasto, come ad esempio dei cestini o dei “pranzi al sacco”, che pure le mense scolastiche organizzano in occasione delle gite, che i minori potrebbero consumare al momento dell’iftar rientrando a casa o una volta rincasati.

Educazione fisica e confessionalità a scuola
Un altro aspetto da prendere in esame nell’ambito dell’orizzonte scolastico è rappresentato dall’insegnamento dell’educazione fisica che in contesti occidentali si effettua in modo promiscuo.
Per l’etica islamica, nello spazio pubblico i generi non devono interagire e la separazione tra sessi è considerata un fattore di regolazione e coesione sociale, per mantenere una società casta e al sicuro da situazioni imbarazzanti, da contatti promiscui e da ogni forma di peccato. Attraverso il controllo del corpo femminile si esprime il controllo della morale collettiva ed infatti, nell’islam sin dall’infanzia le bambine sono educate a considerare le regole di separazione come base di ogni azione sociale. Inoltre, in gran parte dei sistemi scolastici religiosi esistenti nei Paesi islamici l’educazione fisica delle ragazze non è prevista come materia curriculare. E’ dunque immaginabile, in contesti a maggioranza non islamica, come sia possibile l’insorgere di pregiudizi e difficoltà nella frequentazione di una classe mista.

Il problema si acuisce allorquando si tratta della frequentazione dell’ora di educazione fisica. La vicinanza e la promiscuità fisica che può caratterizzare lo svolgimento dell’attività motoria a scuola non trova gradimento in quei genitori latori di una concezione più tradizionalista in senso islamico, e trova poi addirittura opposizione qualora la tenuta ginnica preveda la scopertura del corpo femminile, come può accadere con gli shorts dell’atletica o, caso limite, con il costume da bagno per la piscina. In tali ipotesi alle figlie non viene consentito di partecipare a quelle attività scolari ed in taluni casi, soprattutto quando la scuola non accetta un atteggiamento obbiettore pretendendo il rispetto dell’obbligo scolastico e del diritto all’istruzione, accade che le ragazze musulmane vengano ritirate da scuola. Nel contesto europeo non c’è una casistica elevata, tuttavia possono essere segnalate alcune situazioni, che involvono in certi casi anche l’ambito giudiziario.

continua

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