La Consulta agevola il suicidio: ignorata la sensibilità dei credenti

La sentenza con cui la Corte costituzionale ha stabilito la non punibilità di chi agevola il suicidio riaccende il dibattito sull’eutanasia. È una parola che ha origine in Grecia e significa “eu = buona, tanathos = morte”, la cosiddetta dolce morte, come spesso è definito il suicidio assistito, dai media. Si cerca di legiferare su quest’argomento, ma tra chi è nettamente contrario e chi è favorevole non si arriverà certo ad avere una decisione condivisa da tutti i cittadini italiani.

Noi, da musulmani e italiani, abbiamo il nostro pensiero che si basa sulla Legge Sacra proveniente da Dio. Innanzi tutto è doveroso dire che l’Islam propone un’interpretazione positiva della vita, qualunque essa sia, quindi va sempre accettata e valorizzata fino alla fine: anche la morte, essendo un decreto anch’essa, è accettata. E come la morte, anche la malattia.

Per il musulmano, il dolore e la sofferenza che la malattia provoca, sono prove necessarie a far sì che si impari a sopportare con pazienza e si tempri lo spirito: affrontando consapevolmente dolore e malattia potremmo migliorare la nostra visione della vita, soprattutto dal punto di vista etico-spirituale.

«Nessuno di voi dovrebbe desiderare la morte, per un male che gli è accaduto, ma se sia veramente costretto a desiderarla, deve dire: “Dio fammi vivere, finché nella vita c’è un bene per me, o dammi la morte, se nella morte c’è un bene per me”». Detto dal Profeta, che meglio di ogni spiegazione esprime le linee guida dell’Islam sul concetto di dolce morte.

Questo accettare e pregare in modo chela malattia sia positività per noi non è rassegnazione, come può pensare chi non ha ben chiaro il concetto di Islam, ma è il progetto, il decreto, il destino che Dio ha assegnato a ognuno di noi e, solo Lui può capirne il motivo. Tale spirito di abnegazione e sopportazione non significa che il malato è lasciato a se stesso, anzi, il profeta Muhammad dice chiaramente: «Cercate la cura, con l’aiuto di Dio, poiché, per ogni malattia, Dio ha dato anche una cura». E la cura serve a far star bene gli ammalati, non certo a lasciarli morire.

Nei tempi considerati bui dell’Occidente, nel mondo musulmano si costruivano ospedali e si sperimentavano medicine, attrezzature e tecniche operatorie di cui ancora oggi, ci serviamo. «Cercate la conoscenza con l’aiuto di Dio» dice il Profeta. Il quale dimostra che l’Islam vuole il progresso e non il regresso dell’essere umano, ma questo non significa che l’uomo possa sostituirsi a Dio nelle decisioni riguardanti la vita o la morte: «Nessuno muore se non con il permesso di Allah, in un termine scritto e stabilito» si legge nel versetto 145 della sura “La Famiglia di Imram”.

Le cure si somministrano per il mantenimento in vita: «Il vostro corpo ha dei diritti su di voi» Muhammad ripeteva. E ancora: «La morte di ognuno di voi l’abbiamo predeterminata noi, e noi non dobbiamo essere anticipati», Sura “Ciò che deve accadere”, vers 60. Dio ha deciso e nessuno può togliersi o togliere la vita senza il suo consenso. L’essere umano può decidere di se stesso quando è nel pieno delle sue facoltà psico-fisiche, e un malato terminale non può esserlo, quindi non può decidere di se stesso. Il suicidio, giova ricordarlo, è tra i peccati più gravi dell’Islam.

Ogni musulmano ripete il versetto della sura  “Gli Armenti”, vers 162: «In verità la mia orazione e il mio rito, la mia vita e la mia morte appartengono ad Allah Signore dei mondi». La sentenza della Corte costituzionale, dunque, salutata da qualcuno come conquista di libertà, non considera la sensibilità di tanti italiani, cristiani in stragrande maggioranza cristiani e musulmani. Noi ricordiamo quel che affermava Sanâ`î nell’XI secolo affermava: «L’empietà e la fede corrono entrambe sul cammino di Dio. Ma la fede ci fa accettare il dolore e la morte, l’empietà fa di tutto per allontanarli».

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