Israele chiude clinica anti-Covid19 dei palestinesi

Nonostante in tutto il mondo si cerchi di salvaguardare le persone dal possibile contagio, in Israele, un paese che si definisce unica democrazia in Medio Oriente, i suoi cittadini e forze di polizia sembrano avere un comportamento opposto propriamente voluto e cercato.

Nei giorni scorsi un gruppo di agenti ha fatto irruzione in una clinica arrestando i presenti. La clinica era nei locali di un edificio di culto a Silwan, Gerusalemme Est, e serviva a controllare il monitoraggio dei palestinesi, specialmente nell’avvicinarsi del mese sacro. La polizia tra l’altro ha proibito anche che fossero sanificati gli spazi di Gerusalemme Est come misura sanitaria preventiva contro il coronavirus.

Gli attivisti rimasti confermano gli arresti indiscriminati e confermano che vi sono circa una quarantina di casi di Covid-19, anche a causa del sovraffollamento dovuto ai continui sfratti forzati dalle proprie case subiti dai palestinesi.

Farhi Abu Diab, un attivista, dice: “Le autorità israeliane, non aiutano, anzi impediscono di chiedere aiuto anche da altri”. L’attivista, tendendo la mano a un regime sordo e non curante della pace, dice: “Per la prima volta, abbiamo un nemico comune, lavoriamo insieme per distruggerlo”.

Anche in momenti in cui tutto il mondo ha dimostrato di dimenticare le differenze e le divisioni in nome di una lotta comune, esiste un paese dove i suoi cittadini credono di essere unici, compiendo azioni riprovevoli come sputare e augurare la morte, dove un esercito si prende la briga di distruggere ospedali, quando in altri paesi si fa a gara per costruirli e dove la polizia, che dovrebbe garantire la sicurezza, scaglia la sua violenza su dei paramedici attivisti che cercano di aiutare e salvare persone passibili di contagio per le situazioni create dal paese che rappresentano.

 

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