Michael Lynk: “Gli insediamenti israeliani sono crimini di guerra”

Michael Lynk è un esperto relatore sui diritti umani per le Nazioni Unite nei territori palestinesi occupati. Ha dichiarato Venerdì che gli insediamenti sono un crimine di guerra perché violano tutti i trattati di pace fino ad ora emessi e sono “il motore dell’occupazione israeliana di 54 anni, la più lunga nel mondo moderno”.

Egli ha invitato la comunità  internazionale a infliggere un costo a Israele per la sua “occupazione illegale” delle terre palestinesi.

In specifico gli insediamenti illegali violano il divieto assoluto per una potenza occupante di trasferire parte della sua popolazione civile in un territorio occupato. Quest’atto soddisfa in piano la definizione di crimine di guerra ai sensi dello Statuto di Roma su cui è fondata la Corte penale internazionale (ICC).

Anche l’Assemblea generale delle Nazioni Unite e la Corte internazionale di giustizia (ICJ), sono nettamente contrarie e considerano tali atti, la costruzione e la continuazione dell’esistenza d’insediamenti israeliani sui territori palestinesi occupati, contrari al diritto internazionale.

L’articolo 49 della “Quarta Convenzione di Ginevra“,  vieta tali pratiche, affermando: “La Potenza occupante non deporta o trasferisce parti della propria popolazione civile nel territorio che occupa”.

Michael Lynk, in una sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra: “Concludo che gli insediamenti israeliani equivalgono a un crimine di guerra”.

Continua: “Appurati i fatti, la comunità internazionale è costretta a chiarire a Israele che la sua occupazione è illegale e la sua sfida al diritto internazionale e all’opinione internazionale non possono più passare inosservate “.

Lotte Knudsen, ambasciatrice dell’Unione europea presso le Nazioni Unite a Ginevra, durante la sessione del consiglio,  ha affermato che gli insediamenti sono illegali secondo il diritto internazionale: “Azioni come trasferimenti forzati, sfratti, demolizioni e confische di case non faranno altro che intensificare un ambiente già teso”.

Israele contesta queste leggi internazionali e non le riconosce, trovando scuse come citazioni della bibbia e cenni storici sulla sua esistenza, che gli danno il diritto di fare quello che  ha fatto sino ad ora. Israele vuole essere riconosciuto in campo internazionale e poi non riconosce gli organismi che possono dargli tale riconoscimento. È come essere un bimbo viziato e capriccioso che si ostina nei suoi piagnistei. Meriterebbe una giusta e severa punizione per essere messo nella rettitudine.

Anche gli Stati Uniti, iniziano a inclinare i rapporti con lo stato di apartheid, non solo all’interno da parte di  molti deputati e senatori che sono insofferenti alle ormai troppe angherie dei sionisti, ma anche qualcosa inizia a muoversi a livello di amministrazione, dopo che la precedente ha fatto danni enormi alla pace e alla convivenza per il soddisfare l’ego del parruccone e dell’indagato sionista.

Giovedì, l’ambasciata statunitense a Gerusalemme ha formalmente denunciato la demolizione da parte di Israele della casa di famiglia di un palestinese americano che è stato arrestato a maggio dopo aver ucciso a colpi di arma da fuoco un civile israeliano a un checkpoint nell’area di Nablus.

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