Assegno unico per i figli anche ai genitori stranieri

Un assegno mensile per ogni figlio, riconosciuto dal settimo mese di gravidanza al compimento dei 18 anni, con la possibilità di proroga ai 21 anni per i figli che frequentano corsi di studio o di formazione e maggiorazioni dal terzo figlio in poi o per i figli disabili. Un aiuto dello Stato che, a determinate condizioni, spetterà anche ai genitori stranieri in Italia. 

È quanto prevede la legge “Delega al Governo per riordinare, semplificare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l’assegno unico e universale”, approvata martedì scorso definitivamente a larghissima maggioranza (227 sì, 4 astensioni, nessun contrario) in Senato. L’obiettivo è “favorire la natalità”, “sostenere la genitorialità” e “promuovere l’occu­pazione, in particolare femminile”. 

L’assegno, che si calcola possa arrivare fino a 250 euro al mese, avrà un importo variabile in base alla condizione economica della famiglia e sostituirà progressivamente tutte le misure oggi esistenti a sostegno dei figli a carico (bonus bebè, assegni familiari, detrazioni ecc.). Ora sarà il governo a disciplinarlo nel dettaglio tramite decreti legislativi, restando, però, all’interno dei paletti definiti dalla legge delega, come quei “requisiti di accesso, cittadinanza, residenza e soggiorno” che aprono anche ai cittadini stranieri in Italia. 

Chi richiede l’assegno, infatti, “dovrà cumulativamente:

1) essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea, o suo familiare, titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero essere cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca di durata almeno annuale;

2) essere soggetto al pagamento dell’imposta sul reddito in Italia;

3) essere residente e domiciliato con i figli a carico in Italia per la durata del beneficio;

4) essere stato o essere residente in Italia per almeno due anni, anche non continuativi, ovvero essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno biennale”.

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