Sì, il Ramadan è per gli italiani (4)

Gli italiani che festeggiano il Ramadan ogni anno aumentano e ogni anno riscoprono questo periodo come un atto di devozione assoluto cui rinunciare alle frivolezze e dedicarsi a se stessi e alle cose importanti.

Venusia nella sua isola piena di storia vive questa sensazione: “Preghiere, lacrime silenziose di gioia e di speranze, suppliche, perdono, disponibilità e soccorso, è tutto quello che ci chiede Dio in questo tempo di Ramadan, che quest’anno non sarà come tutti gli altri”

Riflessiva e introspettiva, Venusia in tono interrogativo mi da una conferma di ciò che per noi è questo mese: “Ci troviamo ad affrontare una prova che ci piega all’isolamento, all’introspezione, alla limitazione: su quasi tutti i giornali e talkshow si parla di ‘riscoperta dei valori’, ‘contatto con noi stessi’, ‘riarrangiamento delle priorità’, ‘rafforzamento di legami interpersonali con familiari nonché del rapporto con Dio’, ma tutto questo non ti suona già familiare? Non vorrei sbagliarmi, il periodo che stiamo vivendo non è quello che noi cerchiamo nel nostro mese sacro?”

In effetti, a pensarci bene, è quello che noi musulmani cerchiamo.

Non è un fiume in piena, direi più un torrente continuo, fluente e rumoroso, ma un rumore che ti allieta e non da nessun fastidio. Anzi, è un piacere ascoltarla. Come un torrente mi ha invaso di parole, e avrei dovuto fare forse, tutto il reportage sul Ramadan solo con le sue dichiarazioni, ma concludo e conclude: “Io chiedo il perdono continuo a Dio, per tutto ciò che ho fatto di sbagliato e che non ho fatto di corretto; chiedo la sua benedizione, di accettare le mie preghiere e di rendere sincero il mio cuore, i miei pentimenti e le mie promesse; chiedo di essere sempre vicino a Dio e chi tutti noi possiamo aiutarci l’un l’altro, con i familiari i parenti, i vicini di casa e anche con chi non conosciamo e vive dall’altra parte del mare.”

Mi saluta con una risata e dicendomi: “E poi, ovviamente, datteri, datteri e ancora datteri”.

Terminiamo per ora, il nostro breve reportage giornalistico, con Zenigata, che in video chiamata, mi racconta più delle sue cose, convincendomi a chiacchierare con lui da buon meridionale, che rispondere alle mie domande. A volte mi sembra che lui sia il conduttore e chiede a me cosa farò. Siamo arrivati a un patto, ci raccontiamo i nostri giorni di Ramadan, cosi non sembrerà un’intervista ma una rimpatriata tra amici, che di questo periodo, non è male. Anche perché, non riesco a fare altro con Zenigata.

“Raffaè lo sai, quelli come me sposati fanno un Ramadan migliore del vostro, specialmente se la famiglia della moglie è musulmana e ti invita ogni sera a fare l’iftor con loro!” L’Iftor, per chi no lo ricordasse, è il momento in cui finisce il digiuno e possiamo mangiare.

Rispondo: “Eh sì, però poi non vorrei che la sua famiglia s’intrometta troppo, anche perché mi piace mangiare non solo la zuppa classica del Ramadan, l’harira, ma un bel piatto di spaghetti? Non credi Zenigata?”

Eh sì, ormai il nostro non è un dialogo tra intervistati, ma quello di due amici al bar. “Sì ma quelli come te, da soli, dove trovano compagnia musulmana per fare l’iftor? Sei costretto ad andare in moschea sempre!”. Gli rispondo un po’ alterato: “A parte che non sono solo vivo in famiglia, ma tu pensi che quelli come me, vivano malissimo questo mese?”

Mi osserva e non lo faccio parlare: “Zenigata, è vero che ci sono persone che soffrono questo, ma è pur vero che molti italiani, poi si trovano legati in alcune situazioni e tradizioni non nostre, e bisognerebbe anche rispettare chi vive in modo diverso dal tuo, in fondo il Ramadan non è certo per una sola categoria etnia!”

Dallo schermo del laptop vedo Zenigata che mi guarda aggrottando le sopracciglia e fa gesti con la mano, come se volesse toccarmi, dimenticando che non siamo a un metro di distanza, e c’è un video tra noi.

“Io penso che quelli che abitano da soli, o hanno una famiglia non musulmana non passano un facile Ramadan, e comunque dipende dalle famiglie, naturalmente. La mia ha accettato il mio essere musulmano e ogni anno mi trovo a mio agio. Mi aspettano per mangiare insieme la sera, o mi preparano, quando io sono fuori al lavoro, come gli anni passati, la colazione dell’iftor. Quest’anno sono io che mi metto ai fornelli, voglio dare una mano, sono a casa come tutti gli altri, ma spesso mia madre mi raggiunge e mi sposta dicendomi che non posso assaggiare, perché sono a digiuno e quindi fa lei, non vuole rischiare di mangiare salato o senza sale. E poi non mi disturbano quando la mattina al fajr leggo il Corano o esco per andare a fare le preghiere in moschea.”

Lo interrompo: “Fortunato Harlock, goditi questa fortuna; ti saluto, devo chiudere perché mancano pochi minuti e mi preparo per l’iftor, io da solo, oggi ho il cappuccino e crostata con nutella, e poi il tiramisù, lo vorresti?”.

Finalmente riesco a prendermi la rivincita su quello che mi ha detto prima e con gli occhi e bocca aperta mi strilla: “Ecco, fai l’italiano anche all’iftor e dici di vivere da solo?”.

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