Racconti da Gaza (III parte): «Il mio primo viaggio in Palestina»

«Muhammad, io non riesco a farti avere un visto: non è semplice!».

Sono le parole che diceva Lela al suo caro interlocutore ogni volta che iniziava a parlare, ogni giorno. Si era stancata di dire le stesse cose. E lui, il corrispondente da Gaza, proponeva: «Se non posso venire io, vieni, tu; tra un po’ si sposa mio fratello, ti invito al matrimonio, così mi conosci e poi farti una idea di come si vive qui. Tanto, per voi occidentali, tutto è semplice».

Interruppi il racconto di Lela: «È questa la notizia che ti aspettavi e che ti ha cambiato la vita?». Lei, con espressione un po’ spazientita, scuotendo la testa e muovendo l’indice:«No!». Con espressione dialettale mi disse: «Non essere come loro, che credono che a noi occidentali è tutto concesso e andiamo in giro dove vogliamo: non è per nulla così. Lo sai quanto ci ho messo a chiedere il visto? E sai cosa mi è successo arrivata a Gaza?».

Sembrava quasi arrabbiata, la sua espressione era diventata di nervosismo. Sembrava non voler ricordare quell’episodio. L’ho spronata a raccontare. E lei: «Mi fai ricordare un momento non piacevole, alla fine capirai perché». Iniziò cosi, stringendo la sciarpa al collo, e sistemandosi il cappotto. Ci eravamo alzati dal tavolino e camminavamo senza meta, per scaldarci dal freddo umido tipico di queste zone. Non c’era tanta gente, era quasi tempo dell’imbrunire, e i colori erano tutti sfocati, come mi sembrava lei, che ormai era partita col suo parlare di documenti, richieste, timbri e fotografie. Disse: «Male che vada mi farò una passeggiata a Gerusalemme, pensai: non ci sono mai stata, e sarà sicuramente un bel viaggio». E io: «Ma come?! Prima brutto viaggio, e poi sarà un bel viaggio?».  Lei mi guardò da sotto gli occhiali, piegò la testa verso destra e la scosse. «Fammi finire!» mi disse facendo segno con la mano di tranquillizzarmi.

E continuò: «Arrivai all’aeroporto di Tel Aviv, al check out. Naturalmente non puoi dire “vado a Gaza o in West Bank”: lì appena sentono queste parole ti prendono e ti sbattono dentro una cella, e ti rimandano in Italia senza neanche chiederti scusa. Non lo sapevi questo? Se vai tu, e sicuramente sanno che sei musulmano, non ti fanno neanche scendere dall’aereo». E si mise a ridere, spingendomi con il braccio in modo amichevole, sfottendomi. E io: «Lo so, cosa fanno quelli, nonostante dicano di essere una democrazia». Lela mi guardò, scoppiò a ridere e  disse: «Bandiere e insegne inneggianti alla loro nazione in ogni posto, da Tel Aviv a Gerusalemme era tutto cosi finto e surreale che solo alla vista di Gerusalemme iniziai a essere più tranquilla. E solo a Gerusalemme Est, alla porta di Damasco, riconobbi il vero Medio Oriente, aria di casa, come se fossi a casa mia. Finalmente, ma, ancora mi aspettavano giorni che non pensavo avvenissero».

(continua) – Le altre puntate

 

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