Il sufismo e le Donne (1/4)

di Amal Oursana

Il sufismo è un movimento mistio all’interno dell’Islam; nome iniziato a circolare dopo circa duecento anni dalla rivelazione. Alcuni storici vedono la nascita del sufismo come una reazione alla corruzione politica causata dalla ricchezza dell’impero islamico che era in espansione, altri lo vedono come un influsso dell’ascetismo dei Padri del deserto: i monaci cristiani e i filosofi greci padri dell’esicasmo.

In realtà l’slam e il sufismo nascono con la profezia di Mohammad, in un unico involucro di saggezza e conoscenza talmente vasta e raffinata da non essere distinguibili come due realtà separate. Si dice infatti che in origine il sufismo era una realtà senza nome. Solo dopo la morte del Profeta nei secoli successivi in seguito alla divisione dei mussulmani in sunniti e shiti nasce il sufismo, un nome senza realtà.

Nasce il movimento di un gruppo di uomini e donne sufi che indossavano abiti di lana chiamati “suf”, che è il termine arabo per indicare la lana. Essa ha la caratteristica, una volta filata, di isolare ciò che copre dal mondo esterno. Il suf, quindi il sufi, simbolicamente si isola dal mondo esterno, dunya in arabo, per ricordare e praticare il cammino interiore che il Profeta Mohamed aveva tanto raccomandato. I sufi riportano alla luce il significato autentico della jihad contro il nafs (jihad = lotta interiore verso il proprio ego; nafs = ego) e l’amore divino come realtà da coltivare nel cuore dell’asceta.

Lo ricorda un famoso detto del Profeta: “Osservare l’essere interiore un’ora vale più di 70 anni di adorazione”.

Il sufismo, quindi, nasce per far riemergere la purezza del messaggio attraverso le “turuk”, le vie tracciate, a partire da un sapere trasmesso a due compagni del Profeta: Abubakr Assadik e Alì.

Le due qualità divine, nonché nomi di Dio, che disegnano il rapporto tra Islam e sufismo sono: “Batin” e “Zahir”.

Batin è la realtà nascosta, il principio femminile, il cammino interiore, il “tasawoof”, mentre il Zahir è ciò che è manifesto, il principio maschile, la parte esteriore ovvero la legge divina, la “shari’ah”.

Il tasawoof, il cammino che si percorre nella tarika (via), sotto la guida di un maestro vivente (sheykh), rende l’essere umano un essere completo: “Insan al kamil”. Il maestro è qualcuno che ha percorso la via sotto la guida di un altro maestro ricevendo la trasmissione dei segreti secondo la catena di trasmissione del sapere, silsila, che fa capostipite il Profeta Mohamed.

Questo percorso inizia per i discepoli, murid, sotto la guida dello sheykh, dopo che egli avrà fatto la bayat, ossia il riconoscimento dello shaykh come guida.

I mussulmani oggi praticano l’Iman e l’Islam e dimenticano che esiste l’Ihsan.

L’”Iman” è la fede, la testimonianza del tawhid, cioè “non c’è altra divinità al di fuori di Dio” (la ilaha illa Allah). La fede si sviluppa attraverso la porta della conoscenza, ilm. Perché la conoscenza, tanto raccomandata dal Profeta apre ed eleva la coscienza a stati più sottili. Parliamo di una conoscenza utile e non cumulativa.

“Amo perché conosco”.

La conoscenza ha come suo miglior canale di apprendimento l’udito, l’ascolto. Perciò se abbiamo un maestro, ascoltarlo sazierà la sete di conoscenza e la conoscenza aumenterà la fede.

L’”Islam” è rappresentato dai cinque pilastri: la Testimonianza (Shahada), la Preghiera (asSalat), il Digiuno (Ramadan), la Carità o Purificazione (Zakat), il Pellegrinaggio (Hajj). La radice primaria di Islam è Salam, pace, la pace che trova l’asceta quando ci si abbandona in modo totale. In realtà l’Islam pone ogni mussulmano di fronte a una scomodità da superare, solo una volta superata con l’affidamento, con la resa, si trova quella pace profonda chiamata “sakina”.

L’”Ihsan” è il perfezionamento del carattere. L’ihsan racchiude tutta l’attenzione dell’uomo a voler affinare sé stesso verso l’incontro con il suo Amato. Questo affinamento inizia con l’imitazione del maestro nel suo modo di vivere, parlare e pregare. Comprende l’acquisizione dell”’adab”, codice di comportamento gentile e rispettoso verso tutte le forme di vita. In sostanza Ihsan porta alla condizione dell’essere amati.

Possiamo dire che l’islam è la struttura all’interno della quale è possibile per il murid edificare la via del sufismo. Se pensiamo ad un’immagine per descrivere questa relazione, quella dell’albero sarebbe appropriata: “Le radici saranno le leggi divine (shari’ah), il tronco la via (tarika), i rami la conoscenza (maarifa) e i frutti le verità (haqiqa)”.

Questi frutti saranno tanto abbondanti e maturi quanto più il nafs è piccolo. Quanto più il discepolo è senza il suo nafs, tanto più ci sarà spazio per il maestro per portarlo verso le stazioni divine. Un ruolo importante verso le radici è quello dell’elemento acqua. L’acqua porta fluidità nella legge divina che non deve essere rigida. Più numerosi sono i frutti, più l’albero sarà appesantito e chino e più grande è la sua umiltà.

ultimo                                                                              continua

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