Riflessioni su un modello italiano di convivenza nel libro “L’integrazione dimenticata”

L’integrazione dimenticata” è il nuovo libro del Centro studi e ricerche Idos realizzato in collaborazione con l’Istituto studi politici San Pio V, presentato il 17 dicembre in streaming e disponibile in italiano e inglese. Il volume, che vede la prefazione del sociologo Paolo De Nardis (Presidente del San Pio V) e l’introduzione di Tatiana Esposito, Direttrice Generale per le Politiche di integrazione del Ministero del Lavoro, raccoglie i contributi di alcuni tra i maggiori esperti italiani sul tema delle migrazioni, tra i quali Maurizio Ambrosini, Roberta Ricucci, Stefano Allievi, Giovanna Gianturco, Alberto Guariso, Christopher Hein, Salvatore Geraci, oltre naturalmente a tutti i ricercatori di IDOS incluso Franco Pittau.

Introducendo la presentazione del libro, Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche Idos, ha spiegato le ragioni del titolo “L’integrazione dimenticata” che rimandano all’oblio riservato negli ultimi anni nel dibattito pubblico al tema dell’integrazione, a favore dell’accento posto, soprattutto a seguito della crisi economica del 2008 e della cosiddetta crisi dei rifugiati del 2016, sulla chiusura e sull’esternalizzazione delle frontiere. La questione dell’integrazione è diventata marginale e col tempo asfittica, ed è venuta meno l’attenzione alla sua natura processuale e multidimensionale. Il caso italiano poi, secondo Di Sciullo, rappresenta per più versi un’eccezione, dal momento che nonostante il nostro Paese sia tra i principali Paesi di immigrazione, non esiste un modello codificato di integrazione, mancando anche un assetto normativo organico in tal senso, e ciononostante, la coesione sociale non ha subito violenti attacchi come avvenuto in altri contesti.

La tesi contenuta nel volume prospetta l’esistenza in Italia di un “modello diffusivo dell’integrazione” legato alle peculiarità della presenza immigrata nel territorio che, a differenza di altri Paesi europei, non vede una concentrazione massiva in alcuni Centri urbani. “Roma e Milano, ad esempio – ha spiegato Di Sciullo – accolgono una quota molto minore di migranti rispetto ad altre metropoli europee come Londra, Parigi o Barcellona; né si sono generati ai margini delle grandi città della penisola delle periferie-ghetto con le caratteristiche di altre capitali europee”.  Questo “modello diffusivo”, secondo gli autori del libro, è dovuto a due caratteristiche: la presenza di tante piccole e medie imprese che costellano, in maniera estesa, il territorio nazionale e l’esistenza, all’interno delle molteplici realtà territoriali, di ancora forti patrimoni identitari locali che creano più facilmente “senso di appartenenza”. “Sono dunque queste circostanze di tipo storico-culturale, economico e perfino urbanistico – ha concluso il presidente Di Sciullo – a fungere non solo da fisiologici ‘ammortizzatori sociali’, ma anche da proattivi determinanti di un’integrazione ‘di prossimità’”.

In questo quadro determinante è volgere l’attenzione alle nuove generazioni, ai figli degli immigrati, sui quali, secondo Roberta Ricucci dell’Università di Torino, “pesa il condizionamento delle tre A: aspetto, ascendenza, accento”. In particolare le tematiche che meritano una rinnovata riflessione sono quelle relative alla presenza, seppur ancora misconosciuta, delle nuove generazioni nelle università e in ambienti di lavoro diversi da quelli a cui sono spesso destinati i migranti d prima generazione; al genere e agli obblighi di cura che presto incomberanno sulle figlie dei migranti per l’assistenza dei propri genitori; alla partecipazione politica che vede molti ragazzi di seconda generazione già attivi a livello locale e transnazionale .”Infine – ha sottolineato Ricucci, alla cosiddetta generazione 2.5 ,rappresentata dai figli delle coppie miste, assenti dal dibattito pubblico ma non al riparo da processi di discriminazione e marginalizzazione”.

La Direttrice dell’Immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del Lavoro, Tatiana Esposito, ha condiviso la nuova chiave di lettura dei processi di integrazione proposta nel libro. “Una chiave di lettura tanto più utile in un momento di passaggio come quello che stiamo attraversando, mentre in Parlamento sono in corso lavori in vista di una revisione complessiva della normativa in tema di immigrazione e mentre siamo alla vigilia del nuovo bilancio europeo”. “Tanto c’è da fare -ha continuato Esposito – anche in considerazione della traiettoria disegnata dalla Commissione europea con il Nuovo Piano d’azione per l’integrazione e l’inclusione, che ribadisce alcuni principi come la necessità di un approccio universalistico, l’importanza dei partenariati pubblico-privato, la centralità dell’istruzione e del lavoro”. Né si può prescindere dall’attenzione alle aree più vulnerabili delle nostre realtà urbane e dalla promozione della partecipazione dei migranti anche attraverso strumenti che hanno un linguaggio universale come lo sport e il riconoscimento del protagonismo delle nuove generazioni.

Per saperne di più sul volume “L’integrazione dimenticata” vedi qui.

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