Racconti da Gaza: «I`m kidding, we finished, we are married» (part X)

“Appena inizio a salire le scale vedo di sfuggita una testa sparire in cima e all’improvviso sento il suono di una musica romantica, mi accorgo del profumo che c’era nell’aria solo adesso e mi rendo conto che appena entrata le ragazze al bancone mi guardavano con occhi grandi e pieni di felicità: capisco che era proprio quello che non volevo”.

L’espressione era tra il timido e l’orgoglioso. Sprizzava gioia dagli occhi ma i lineamenti del viso sembravano chiudersi su stessi per la vergogna. Non potevo non rispondergli e prendermi la rivincita sulla storia: “Lo sapevo, lo avevo immaginato dall’inizio!” e mentre lo sorridevo. Più che altro per lei che meritava tutto questo e ancora per lei, perché so che non sopporta tutto questo “miele e fiori”, tipicamente arabo.

“Salgo le scale, lui davanti e mi guidava con la sua mano; arrivo sulla sommità, mi giro e non immagini quello che ho visto: luci soffuse, coriandoli cadere dal soffitto della stanza, palloncini di tanti colori galleggiare come fossero sul mare, festoni color rosso appesi su tutti i muri che attraversavano la stanza, altri palloncini più grandi per terra che avevano forme di cuori, petali di rosa sul pavimento; tavoli tutti intorno con tovaglie chiare adornate di cuori colorati”.

Prende fiato mi guarda e continua senza lasciarmi il tempo di aprire bocca: “Tanta gente ai lati che batteva le mani e faceva il classico urlo di augurio arabo la zaghrouta, e in fondo un tavolo un po’ più grande degli altri, con solo due sedie dietro ricoperte di un drappo amaranto, e al centro una torta tonda con un cuore in cui erano incise le nostre iniziali.”

Un minuto di silenzio, ne approfitto: “Romantico, non sei contenta?”, lei: “Aspetta, non è finito: per terra mi accorgo che aveva fatto un grande cuore con dei cuoricini di tantissimi colori scrivendoci le nostre iniziali e I love you”. Arrossisce, e io non dico nulla, anche se sorrido e lei percepisce il mio volere chiedere, ma conoscendo Lela, capisco il suo imbarazzo, e capisco ancora di più come si sia sentita li, ma poi viene fuori l’istinto di donna, ed esordisce: “Ma io dico, avvisami prima, dimmi che stai facendo un qualcosa o dimmi che andremo in un posto carino, cosi almeno mi truccavo, sistemavo i capelli e mettevo un bel vestito!”

E no, a questa sua risposta che smonta tutto l’effetto romanticismo, scoppio a ridere e la prendo in giro per dieci minuti. Tanto che i ragazzi vicino a noi ci osservano e i ragazzi sembrano spronarmi con i loro sguardi a continuare sulle mie ultime intenzioni, le ragazze, alcune meglio che non racconti i loro sguardi, ne andrebbe della mia incolumità, altre guardavano lei con ammirazione e desiderio di sentire e vivere la sua stessa storia, e una piccola parte picchiava con piccoli buffetti i ragazzi che ridevano fulminandoli e dicendoli qualcosa che, a vederli, li pietrificava. Neanche avessero visto Medusa.

Lei si accorge e mi fa segno di abbassare la voce e m’intima: ” Vuoi finire cosi?” Al suo comando mi fermo, mi risiedo composto, ignoro tutto quello che mi circonda, e per riprendere l’atteggiamento professionale, sorseggio l’ultimo goccio di caffè, quasi inesistente nella tazzina, solo quel poco di polvere che è consuetudine rimanere spesso, in pratica ormai fredda, che mi rovina il sapore lasciatomi in precedenza. “Scusa, se cosi all’anniversario, cosa ti ha organizzato al matrimonio?”

Lei: “Appunto, volevo dirtelo, se ti ricordi, invece di prendermi in giro.” Lanciandomi un’occhiata di rimprovero: “Vero che mi ha sorpreso e a me non piacciono le sorprese, ma con questa festa abbiamo fatto quello che purtroppo non abbiamo potuto fare al nostro matrimonio, lo sai che io mi sono sposta per procura, perché all’epoca non potevo venire e pensavamo che una volta fatto sarebbe stata più semplice tutta la nostra nuova vita.”

Ora capisco, cosa voleva dire all’inizio.

“Una follia sposare un uomo che non hai mai toccato, baciato, con il quale non hai mai condiviso un giorno della tua vita insieme, una passeggiata, bevuto un caffè, pranzato soli almeno una volta?”

Si ferma si accende una sigaretta e continua e sembra prendere fiato senza aspirare, forse è stanca o deve dirmi qualcosa di importante?

“Chiunque potrà dire che io quell’uomo non lo conosco, pensando e confrontandoci con i paragoni della nostra società, ma proprio perché noi per tre anni, prima di arrivare al matrimonio, abbiamo potuto parlare guardandoci solo nel viso, imparando a vedere ogni inflessione, ogni movimento impercettibile, che ha fatto si che potessimo riconoscere ogni nostro sentimento, molto meglio di qualsiasi altro uomo che ho avuto vicino, e lui ha imparato a conoscere perfettamente me, come nessuno mai lo aveva fatto prima: mi basta guardarlo e già so cosa vuole dirmi, cosa pensa; mi basta sentire il suo buongiorno la mattina o il modo con cui lo scrive, il tempo che ci mette a farlo appena sveglio, e conosco se è felice, triste o preoccupato, si è creata tra noi una complicità profonda e totale.”

Sentirle dire questo, oggi, in un mondo che pensa solo al profitto, ad apparire, a essere e fregarsene dei sentimenti, è stato come rinascere, come ricevere una lezione sulla vita e su ciò che conta di più. Fa venire voglia di voler sentire la stessa, cosa.

“E’ stato semplice, pensavo fosse diverso, ho spedito i documenti a Gaza, dopo averli autorizzati al consolato palestinese a Roma, scegliere chi mi rappresentava li davanti a giudice e attendere la data prefissata, tutto qui!”

E il 25 di Ottobre del 2017 è arrivato, lei mi racconta che era seduta sul divano di casa sua, con il cellulare acceso, in videocall, e sentiva parlare una lingua ancora sconosciuta, ma che vi assicuro, con mia benevola invidia, adesso parla bene. Lei: “All’improvviso dopo tanto arabo sento dire: «I`m sorry amore the judge didn`t accept the marriage». Il mio cuore ha iniziato a battere forte ed io rispondo con un filo di voce: «Why?», e lui ridendo: «I’m kidding, we finished, we are married». Mabruk amore. ”

(fine)

Tutte le puntate.

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