Tutti gli arabi sono musulmani, tutti i musulmani sono arabi

Stereotipi al microscopio: quanto sappiamo davvero dei musulmani e degli arabi?

Chi sono i musulmani? E chi sono gli arabi? Sono semplicemente gli “altri”, gli “immigrati”, i “terroristi”? Quanto ne sappiamo davvero, e come reagiamo di fronte a questi temi? In questa rubrica proviamo ad affrontare alcuni degli stereotipi più diffusi in Italia e in Europa sui musulmani e sugli arabi: stereotipi a confronto.

Un’idea di Elena Nicolai

Tutti gli arabi sono musulmani e tutti i musulmani sono arabi

di Laura Corna, dottoressa in Studi arabi contemporanei

“Gli arabi sono tutti musulmani”, quante volte conversando con amici, parenti e conoscenti ci siamo sentiti ripetere questa frase? In effetti, questo è uno degli stereotipi più diffusi che tocca i popoli arabi e la comunità musulmana. Tuttavia non è l’unica immagine distorta inculcata nella mente di molti europei. A conti fatti, stereotipi e pregiudizi, su cui spesso ironizziamo, non sono delle armi così blande ed inoffensive. In diverse occasioni hanno aperto la porta a scompiglio e confusione, ma soprattutto hanno lasciato che paura ed ignoranza si insinuassero tra noi.
Quindi, quali sono i principali stereotipi e pregiudizi che ledono arabi e musulmani?

Il più diffuso e conosciuto è “tutti gli arabi sono musulmani”. Non esiste affermazione più imprecisa di questa. Innanzitutto, se per arabi intendiamo tutti i cittadini degli stati membri della Lega degli Stati Arabi, per cui si intendono paesi dove la lingua ufficiale è l’arabo, allora è vero che la maggior parte ha proclamato l’Islam religione di stato, tuttavia ciò non implica che tutti i suoi cittadini seguano questa fede. Questo dato rappresenta solo la maggioranza degli abitanti non la totalità. Questo stereotipo getta ombra sul mosaico religioso e culturale per cui si caratterizzano gli stati arabi. Infatti, cristiani copti in Egitto, maroniti in Libano, ortodossi in Siria, ebrei in Marocco e Tunisia, i druzi in Siria, Libano e Giordania, gli yazidi in Iraq e Siria, gli atei diffusi qua e là, baathisti in Oman, Bahrain, UAE, Kuwait, Qatar e Palestina (e la lista è molto più lunga) nati e cresciuti in paesi arabi, di cui la maggior parte parla arabo come lingua madre, non sono forse anche loro da includere tra quelli che chiamiamo arabi?

Inoltre, non dimentichiamoci che i 4/5 dei musulmani non sono di lingua araba! Pertanto, se invertiamo gli addendi, i musulmani originari di paesi come Indonesia, India, Pakistan, Bangladesh, Turchia ed Iran devono essere considerati arabi? I musulmani di questi stati sicuramente possiedono dei rudimenti di lingua araba con il fine di svolgere le quotidiane funzioni religiose, ma sicuramente non si identificherebbero come arabi a livello culturale a meno che non appartengano a famiglie di origine araba, ovviamente.

Guardiamo dunque al microscopio: la realtà umana, culturale e religiosa ci appare nel mosaico complesso della sua diversità. Il messaggio che tutti gli arabi siano musulmani e viceversa, spesso veicolato dai media e giustificato da una vulgata superficiale, non è nient’altro che una generalizzazione che sminuisce la ricchezza religiosa e culturale dei popoli arabi ed allo stesso tempo non rende giustizia ad una grandissima parte della comunità musulmana. Forse avere maggiore consapevolezza della diversità aiuterebbe a comprendere un mondo di persone, individui e collettività, che vivono attualmente il peso di uno stereotipo generalizzante, a fronte invece di dinamiche di condivisione, specificità culturali, dialogo interreligioso.

È possibile leggere questo articolo anche nella sua versione in arabo:

كل العرب مسلمون – Tutti gli arabi sono musulmani e tutti i musulmani sono arabi

San Francesco e il sultano d’Egitto Al-Kamil nell’anno 1219

Si racconta che Francesco non solo si professò cristiano, ma ebbe modo di parlare al sultano della sua fede in Cristo nel corso di diversi giorni e di essere ascoltato. Solo tra il XX e il XXI secolo, in un’ottica di critica alle crociate, l’incontro assume dei colori differenti, diventando esempio e modello di uno spirito di dialogo. L’opera di Francesco diventa sempre di più quella di un uomo che ha cercato un’alternativa pacifica alle crociate. È un’interpretazione contestata, ma che ben si sposa con le posizioni del santo sulla fraternità, l’amore al nemico e il rapporto con i musulmani. Come anticipato, Francesco non condanna apertamente la guerra e le crociate e la sua opinione a riguardo non può essere definita con certezza. Ma sappiamo quello che afferma sull’amore al nemico, che per imitatio Christi, diventa amico. Fortemente presente nella memoria del poverello di Assisi è infatti il comandamento di Cristo ad amare il nemico. Una visione particolare, considerato che il sentire dell’epoca vede i musulmani come dei nemici «immondi».

san-francescp-e-il-sultano
san Francesco e il sultano

Lo stendardo di Ur

Si vedono serene scene di pace. La lettura, come sempre, parte dal basso , dove i servi trasportano il bottino di guerra. Gli stessi servi nella fascia mediana si occupano degli animali, destinati al banchetto o al sacrificio rituale. Il re, nel registro più alto all’estrema sinistra, appare più grande di tutti gli altri ed è l’unico vestito con il prestigioso kaunakés, il gonnellino a ciocche di lana, mentre brinda al cospetto di schiavi e funzionari, per celebrare la vittoria della guerra (probabilmente proprio quella descritta sul primo lato); sulla destra si esibisce una cantante, accompagnata da un musico con la cetra.

stendardo di Ur, pace

 

Facebook Comments Box