Sacerdote picchiato da musulmani per convertirlo: questo non è islam

di Vasco Fronzoni*

Sul sito web “Vox news” è recentemente apparso il seguente trafiletto: Prete cristiano pestato da islamici: Convertiti, infedele Una gang di quattro musulmani ha attaccato un predicatore cristiano di strada in Norvegia, nella città di Trondheim, prendendolo a calci in faccia e minacciando di ucciderlo senza una sua conversione”.

La notizia, subito rilanciata da altri siti, offre lo spunto per analizzare alcuni temi importanti, sui quali occorre fare chiarezza, perché accade sempre più spesso che siano molti a trattare argomenti relativi all’islam, ma non sempre l’oggetto della trattazione viene esaminato con cognizione di causa, e la cosa diventa ancor più deprecabile allorquando, spesso, a dissertarne sono dei musulmani.

I fatti riportati dalla stampa online potrebbero costituire una ennesima fake news oppure essere veritieri, ma in ogni caso suscitano scenari propri di una certa letteratura, che alimentata teorie secondo le quali l’incontro tra diverse culture non risulta mai pacifico e non può che portare allo scontro tra le civiltà (Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, 2000; Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, 1996).

Questo filone è stato poi alimentato dall’opera di altri autori che hanno preconizzato l’occupazione islamica dell’Occidente, attuata con il libro più che con la spada, ovverosia con una conquista intellettuale (e demografica) più che con la forza (Lewis, Le origini della rabbia musulmana. Millecinquecento anni di confronto tra Islam e Occidente, 2004; Houellebecq, Sottomissione, 2015; Fallaci, Le radici dell’odio. La mia verità sull’islam, 2015; Bat Ye’or, Verso il Califfato universale. Come l’Europa è diventata complice dell’espansionismo musulmano, 2009; Bat Ye’or, Comprendere Eurabia. L’inarrestabile islamizzazione dell’Europa, 2015; Bat Ye’or, Il declino della Cristianità sotto l’Islam. Dal jihad alla dhimmitudine, 2016; Bat Ye’or, Eurabia. Come l’Europa è diventata anticristiana, antioccidentale, antiamericana, antisemita, 2017).

Tornando all’articolo, indipendentemente dalla sua fondatezza, l’occasione è utile per fissare un ragionamento su due ambiti.

Primo: prete cristiano pestato da islamici.

Nel diritto islamico vige il principio della intangibilità e della indisponibilità del corpo umano, in base al quale è sancito il diritto della persona alla sua integrità fisica, con la conseguenza che ogni atto che violi tale diritto costituisce un atto illecito, sanzionato con il qisas (taglione): «E nella Torah prescrivemmo a voi anima per anima, occhio per occhio, naso per naso, orecchio per orecchio, dente per dente, e per le ferite la legge del taglione. Ma a chi dà in elemosina il prezzo del sangue, sarà per lui di purificazione» (Cor V, 45). Il diritto, e la relativa violazione in caso di sanzione, sono estesi a tutti i tipi di rapporto e, qualora non vi sia equivalenza di sangue tra delinquente e vittima, dunque nelle ipotesi uomo/donna, adulto/minore, credente/protetto, libero/schiavo, l’obbligazione derivante da fatto illecito sarebbe estinta con la diya, il pagamento del prezzo del sangue in proporzione al valore del rapporto.

Ne discende che ogni qualvolta un musulmano provochi lesioni ingiustificate ad un altro soggetto, sia esso credente o protetto (come nel caso di un cristiano), sarà in ogni caso responsabile di un atto illecito, sanzionabile con il taglione o con il pagamento del prezzo del sangue, proporzionato in base alla regola della equivalenza.

In ogni caso, l’eventuale comportamento riportato dalla notizia sarebbe, alla luce del diritto islamico, illegittimo, e i quattro musulmani risulterebbero colpevoli.

Secondo: «Convertiti, infedele!».

Va da subito evidenziato che l’islam, quale messaggio di Allah all’umanità intera, attesta la libertà religiosa ed avversa le conversioni forzate e ogni imposizione di tipo religioso: «Non vi sia costrizione nella Fede: la retta via ben si distingue all’errore, e chi rifiuta Tagut e crede in Dio s’è afferrato all’impugnatura saldissima che mai si può spezzare, e Dio ascolta e conosce» (Cor II, 256).

Indipendentemente dalla contestualizzazione storica di questo versetto, se rivelato nel periodo meccano quando la comunità musulmana era più debole e perseguitata, ovvero se risalente al periodo medinese, quando la umma si era ormai rafforzata, il senso del messaggio coranico non è ambiguo ma va chiarito. Anche se alcuni tra i primi studiosi hanno interpretato questo versetto come applicato soltanto alla Gente del Libro, i protetti, ovverosia i monoteisti che abbiano pagato la gizya, un gran numero di versetti coranici apparentemente sottolinea che nessuno dovrebbe essere costretto a credere in Dio. La coercizione in tema di fede va contro la natura dell’islam, la cui comunità fu perseguitata dalla élite meccana tanto da determinare la higra e risponde in termini di libertà affrontando la tematica della credenza dell’individuo. Infatti, nel testo sacro è diffusa la nozione di libero arbitrio e di responsabilità personale. Ad ogni persona è data la capacità di discernere il bene dal male e rientra nell’ambito delle scelte personali la fede che si sceglie di seguire. Secondo il Corano, il piano di Allah per l’umanità non è insito nel fatto che tutti debbano seguire lo stesso percorso, ma nella libertà di scelta: « “E’ Dio che vi mostra la Via, e c’è chi se n’allontana! Ma, se avesse voluto, v’avrebbe certo guidati tutti assieme» (Cor XVI, 9).

Nella pienezza della libertà decisionale, della quale si risponderà poi il giorno del giudizio universale, il compito del Profeta risulterà essere quello di spiegare alla gente la differenza tra giusto e sbagliato, dunque di indicare il sentiero consigliato, ma non imposto. Ne consegue che nel Corano viene espressa in maniera forte la nozione di libertà religiosa, che tuttavia risulta in contrasto con la concezione ristretta attuata dal diritto islamico classico. Nel testo sacro dell’islam, viene sottolineato che gli aderenti ad altre religioni vanno rispettati, dovendo interagire con loro in maniera pacifica, e che nessuno dovrebbe essere indotto ad abbracciare l’islam con sotterfugi o con costrizione.

E chi, volendo sostenere la liceità dell’aggressione in danno del sacerdote cristiano, avesse da obbiettare che queste regole valgono in tempo di pace ma non trovano vigenza in tempo di guerra, ritenendo che oggi quello europeo sia uno scenario bellico, deve necessariamente prendere in considerazione non solo le regole islamiche riguardanti lo ius ad bellum, ma soprattutto quelle che devono essere applicate durante la condotta delle ostilità. Difatti, in base a queste disposizioni, oltre alla protezione generale concessa ai cosiddetti tributari (come detto poc’anzi i monoteisti che pagano la gizya), l’islam accorda un regime di protezione speciale ad alcune categorie di soggetti non combattenti: donne, minori, anziani, disabili (ciechi, malati, alienati mentali), religiosi, ‘asif (impiegati, coloni e simili). Tralasciando l’analisi delle altre categorie, per quel che concerne le figure dei religiosi (eremiti, monaci, rabbini, pellegrini), seguendo l’esempio del Profeta che espressamente ne comandò l’immunità, la sunna proibisce di attaccare questa specifica categoria indipendentemente da dove si trovi, se nel dar al islam o nel dar al-harb (Al-Nawawi, Kitab al-Magmu’, 1997). Anche secondo questa prospettiva, per il diritto islamico i quattro musulmani sarebbero colpevoli.

Leggendo simili notizie viene da ricordare l’acquaforte di Goya initiolataIl sonno della ragione genera mostri”.

*docente universitario di diritto islamico

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