Racconti da Gaza (VIII parte): “La vita dei gazawi”

Manuela è a Gaza ora. Nella sua Gaza. Con la persona che ha desiderato e che amerebbe vedere qui in Italia con lei a condividere una vita normale.

Sì, perché a Gaza di normale c’è ben poco. Essere sotto scacco sempre e non poter essere liberi di viaggiare, di spostarsi da una città a un’altra per trovare un parente, non poter avere l’energia elettrica o l’acqua tutto il giorno, non certo è vita normale.

Manuela risponde alle mie domande su WhatsApp a tratti, vuoi la mancanza di energia elettrica e vuoi i suoi impegni. La nostra è un’intervista itinerante.

“La vita qui è dura, anche se per loro è diventato normale, com’è normale avere almeno un morto ammazzato in famiglia, com’è normale vedere uscire uno dei tuoi figli e non vederlo più tornare. Se capita, pensi che l’abbiano preso loro. Meglio pensare questo che venire a sapere che l’hanno assassinato!”

Vivere con quest’angoscia per una madre credo sia qualcosa di veramente atroce. Ma ai potenti non è mai interessato cosa pensi una madre, nonostante anche loro siano stati figli.

“E’ come vivere ai tempi di mia nonna, quando da noi vi era la guerra!”, mi scrive, e gli rispondo: “I racconti dei nostri nonni, nei paesi del sud, so che è stata dura, da come ricordo dalle voci dei nostri anziani, più che dai racconti dei libri.”

Vedo dall’indicatore che sta registrando un messaggio: “Sembra di tornare indietro di mezzo secolo.” Sono le sue parole: “I mercati all’aperto, tutti che si conoscono e chiacchierano per strada, chi si ferma a bere un caffè, chi mangia qualcosa al volo, chi contratta; come faceva mia nonna”.

Secondo messaggio: “I bambini giocano liberi per strada, e non ci sono problemi che si perdano, anche se le famiglie originarie sono da tutt’altra parte, qui sono tutti imparentati, vivono in clan in tribù, tutto si fa all’interno della tribù, si sposano anche tra di loro, per ingrandire il clan e contare di più”.

Gli rispondo: “E’ normale per gli arabi questo, ma ormai tranne che in alcune zone quest’usanza va diminuendo, e nelle città non ve né più traccia, credo!”

Lei: ” Non credere sia cosi; io per esempio sono entrata a far parte del clan di mio marito, ma sono sempre vista come la straniera, la forestiera, anche perché non condivido apertamente il modello familiare che loro hanno: il padre decide tutto della vita della sua famiglia, compreso la moglie o il marito dei figli, anche nome di nipoti e forse pure il loro futuro.”

Ha un tono un po’ rude, raccontandomi questo, decido di sviare, meglio: “Ma quando esci, dove vai con tuo marito?”. Domanda più leggera e che interessi di più anche al lettore, invece delle diatribe delle famiglie altrui, almeno credo.

“Di solito andiamo a bere un caffè o un tè, qui di birre neanche l’ombra, come ben sai; A volte mi mancano, come all’inizio dell’anno, abbiamo cenato, ci siamo riuniti, fatto gli auguri e festeggiato, ma cosa ho bevuto con i dolci? Roba frizzante! E come fai a festeggiare con acqua, cola o aranciata?”

Gli rispondo con un messaggio: “Dai esiste la gassosa profumata, le birre analcoliche, la bevanda che usano per sostituire lo spumante, mai bevute?” Lei: “No! Anche se le trovassi, e ti ricordo che siamo a Gaza, dove è già difficile trovare il normale, non le berrei mai!”

Eh sì, a Gaza non trovi certo i grandi centri commerciali come quelli a Dubai o Jeddah, questo avrei dovuto metterlo in conto. “Sempre nei caffè quando uscite? Da nessuna altra parte?”

La sua risposta tarda ad arrivare, ma una volta ascoltata, mi fa ancora pensare com’è dura la situazione in una terra che dovrebbe essere l’unione di tutto il mondo di tutte le religioni e culture. Tutto reso impossibile, perché qualcuno crede, di essere migliore di altri. “Una volta c’erano un cinema e un teatro a Gaza: il primo bombardato e il secondo chiuso da Hamas, e poi dopo un po’ distrutto dalle bombe degli israeliani; la cultura è una leva che smuove le masse, ed è meglio non averla, per far rimanere tutto com’è!”. Rispondo: “E’ una critica la tua verso gli occupanti o Hamas?”. Risponde: “Fai tu, pensaci”.

Lo chiedo a voi: “Pensateci, nel frattempo, io preparo forse l’ultimo pezzo dell’intervista a Manuela, probabilmente vi ho stancato un po’, con questa avventura che stiamo vivendo insieme”.

(contiuna) – Tutte le puntate

Facebook Comments Box