Arriva un giro di vite contro i matrimoni forzati, pratica diffusa in diversi Paesi del mondo, ma riscontrata anche tra le comunità straniere in Italia.
L’articolo 7 della legge “Codice rosso” (L. 19 luglio 2019, n. 69. Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere) pubblicata ieri in Gazzetta Ufficiale introduce nel codice penale il reato di “costrizione o induzione al matrimonio”.
Oltre a punire chi costringe una persona a sposarsi “con violenza o minaccia”, viene punito chi la induce a sposarsi “approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità”, “con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia”. La pena va da uno a cinque anni di reclusione, ma aumenta se la vittima è un minore e arriva fino a sette anni se ha meno di quattordici anni.
Le nuove norme non si applicano solo a matrimoni forzati in Italia, ma anche quando il reato è commesso all’esteroda o ai danni di cittadini italiani o stranieri residenti in Italia. In questo modo sarà possibile anche tutelare le nuove generazioni riportate nei Paesi d’Origine (spesso con la scusa delle vacanze estive) e costrette o indotte lì a sposare i prescelti dalle famiglie.
Nell’aprile 2018 Sana Cheema, 25enne bresciana, è stata uccisa in Pakistan perché si era opposta a un matrimonio combinato. Lo scorso settembre Menoona Safdar, 23enne brianzola, solo grazie all’intervento della Farnesina è riuscita a tornare in Italia dal Pakistan, dove la famiglia la tratteneva dopo averla privata dei documenti, per costringerla a un matrimonio. Uno dei progetti più interessati per contrastare questo fenomeno è il Fatima 2.0, creato dall’Associazione Nazionale Italia Pakistan.
Facebook Comments Box