L’educazione scolastica dei minori musulmani in Europa (3)

segue

di Vasco Fronzoni,
docente esperto in Diritto musulmano

In Germania un primo episodio nasce con il ricorso presentato dai genitori di una bimba, che chiedevano l’esonero della figlia dai corsi scolastici obbligatori di nuoto. L’esonero veniva negato dall’organizzazione scolastica e i genitori impugnavano il provvedimento di diniego in quanto la fede islamica della famiglia e quindi della bimba faceva nascere un conflitto di coscienza nella giovane studentessa, a causa della promiscuità fisica con i compagni di classe in occasione delle lezioni di nuoto in piscina. Il Tribunale amministrativo di Brema nel 2012 respingeva il ricorso della famiglia, giudicando non verosimile un conflitto di coscienza in una bambina di 8 anni, tanto più che è soltanto dai 12 anni in su che il sistema tedesco consente di chiedere l’esonero dalle lezioni di educazione fisica. Una seconda pronuncia, in linea con il precedente, viene registrata l’anno successivo. Le allieve musulmane della scuola dell’obbligo non possono essere esonerate dalle lezioni obbligatorie di nuoto, da effettuare insieme ai compagni maschi invocando il diritto alla libertà religiosa. Tuttavia, le istituzioni scolastiche non possono loro impedire di partecipare alle lezioni in piscina indossando il burkini, poiché scopo della scuola è anche quello di integrare tutti gli studenti, per cui è da valorizzare la partecipazione alle attività didattiche e non l’abbigliamento prescelto per presenziare alle stesse.

Nel Regno Unito il sistema scolastico rispecchia lo stesso approccio alla multiculturalità riscontrato a livello centrale. Pur riconoscendosi cittadini inglesi e rispettando l’ordinamento, si viene favoriti nella valorizzazione delle proprie identità anche confessionali. Come conseguenza di questa inclusione favorendo le diversità, a livello scolastico vi è la possibilità di scegliere la frequentazione di classi monosessuali e anche monoconfessionali. In contesti simili, la pratica dell’educazione fisica viene favorita in quanto vengono superate le difficoltà dovute alla promiscuità fra generi, consentendo così alle ragazze musulmane, ma in certi casi soprattutto alle famiglie, una partecipazione aproblematica all’interazione sportiva senza pericolo di intaccare le identità cultural-confessionali.

Nel Nord Europa le comunità di immigrati provenienti da Paesi islamici sono molto numerose. Tra di esse, spicca quella pakistana, presente in maniera sensibile in Norvegia e in Danimarca. Diversi studi dimostrano la difficoltà delle ragazze e delle giovani donne di accedere alla pratica sportiva, sia a scuola sia presso clubs e associazioni sportive fuori dall’orario scolastico. La resistenza è sempre dovuta al condizionamento familiare, che vuole un modello femminile riservato e defilato rispetto ai maschi, che non interagisce e che non si lascia coinvolgere neppure da sports meno dinamici e che richiederebbero minore interazione fisica, come ad esempio il cricket.

In Svizzera era sorto un caso particolare nel 2010 allorquando due genitori naturalizzati svizzeri, ma di origine turca, avevano deciso di non far frequentare alle loro figlie adolescenti le lezioni di nuoto obbligatorie presso la scuola di Basilea ove erano iscritte, in considerazione della incompatibilità dei corsi di nuoto misti con il senso di pudore che volevano insegnare alle figlie prima della pubertà, in modo conforme alla loro interpretazione della religione musulmana. I genitori, a causa della loro decisione erano stati condannati dalle autorità scolastiche al pagamento di una sanzione amministrativa, avverso la quale avevano proposto ricorso, considerando l’ammenda una violazione dell’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La Corte di Strasburgo, con decisione del 10/01/2017, pur ammettendo che il rifiuto da parte dell’autorità scolastica di esenzione delle ragazze dalle lezioni di nuoto miste rappresentava un’interferenza nel diritto alla libertà di religione, stabiliva che il bilanciamento di interessi dovesse propendere per il diritto dei ragazzi stranieri ad essere protetti da qualsiasi forma di esclusione sociale. Conseguentemente, l’interesse degli studenti a ricevere un’istruzione completa ed inclusiva, che li aiuti ad integrarsi pienamente con gli usi e i costumi locali deve prevalere sulla volontà genitoriale di esentare i figli dalle lezioni miste, ancorché per motivi afferenti al diritto di libertà religiosa.

In Italia la situazione è simile al contesto europeo, in cui la casistica, pur presente, è limitata. Tuttavia, vi sono alcuni casi in cui le famiglie di alunne in età scolare, sensibili alla disapprovazione dell’ambiente etnico e culturale d’origine o a posizioni più tradizionaliste dell’islam, spingono il rifiuto della “promiscuità” sino al ritiro delle figlie da scuola.
Questo atteggiamento di rifiuto e di chiusura vede contrapposto il tema della tutela della diversità e della libertà religiosa al dovere di rispetto dell’obbligo scolastico e del dovere di fare istruire, che ricade in capo agli esercenti la responsabilità genitoriale sui minori, connesso diritto di questi ultimi all’istruzione. Il rifiuto delle famiglie non sempre viene avallato dagli imam delle moschee di riferimento, cui spesso i genitori fanno capo per ricevere consigli, i quali ritengono che sia inutile avversare la contiguità tra generi nell’ambiente scolare se poi è comunque diffusa nella vita quotidiana. Essi prendono atto della realtà e suggeriscono una strategia intermedia, che contemperi l’obbligo di frequenza scolastica con il desiderio di pudore, adottando nell’ora di educazione fisica una tuta ginnica di taglia abbondante e, se possibile, anche il velo. L’approccio pragmatico, che seleziona la liceità della promiscuità in base al grado di copertura, può segnare una tappa di arresto in riferimento alle lezioni di nuoto o altre attività in piscina. Difatti, i regolamenti in materia di attività natatorie, in genere, per motivi di igiene non prevedono la possibilità di indossare il burkini.

Conclusioni
In conclusione, i minori, siano essi musulmani o appartenenti ad altre religioni o comunità culturali, hanno il pieno diritto di crescere in modo sano, sviluppando armonicamente le attitudini personali, nell’ambito della cornice di riferimento immaginata per loro dai genitori o dagli esercenti la responsabilità genitoriale, sui quali incombe l’onere di garantire una appropriata transizione verso l’età adulta.

Questo principio viene rinforzato quando tale cornice è confessionalmente orientata, secondo regole di ispirazione divina che hanno inteso strutturare una società virtuosa, sana e prospera. Se dunque il rispetto di regole ancorché ferme ed indeclinabili non intacca altri principi ordinamentali, quali il buon costume o anche la sicurezza pubblica o la salute individuale, come avviene talvolta per talune sette pseudo-religiose, il senso democratico di una civiltà giuridica antica quale è quello che alberga nel “Vecchio continente” può accettare un pluralismo religioso senza scadere nelle logiche di neutralizzazione religioso-identitaria dello spazio pubblico o del laicismo assimilazionista, proprie dell’analfabetismo culturale.

I minori musulmani, dunque, hanno il diritto di poter crescere da cittadini italiani o europei, o anche solo come residenti, senza dover rinunciare al loro senso religioso e meritano che le legislazioni nazionali, le politiche unionistiche e il dialogo tra le corti europee si conformino alle esigenze confessionali proprie di un monoteismo monolitico quale è l’islam, pur nel rispetto di limiti ordinamentali nazionali.

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