L’educazione scolastica dei minori musulmani in Europa (1)

di Vasco Fronzoni,
docente esperto in Diritto musulmano 

Nella contrapposizione tra le istituzioni giuridico-religiose islamiche ed il modello di società occidentale, la conoscenza dell’altro e l’armonizzazione di tradizioni, precetti religiosi e tratti culturali costituiscono oggi l’obbiettivo per l’integrazione. In una società europea divenuta multiculturale sono in effetti numerosi gli istituti di riferimento e i temi giuridici che devono essere conosciuti se si vuole puntare ad una effettiva azione di inclusione, in particolar modo allorquando le materie trattate afferiscono al sentimento religioso.
L’appartenenza confessionale alla comunità musulmana determina in tutti i credenti l’obbligo di seguire alcuni modi comportamentali, l’adozione di alcune regole di condotta, l’osservanza di alcuni atti di culto, in maniera incondizionata ed ineludibile, indipendentemente dal fatto che i credenti risiedano in Stati islamici, in Nazioni laiche ovvero dove esista una differente religione dominante. Le possibili conflittualità possono essere gestite attraverso la conoscenza reciproca e la volontà di conoscere e di comprendere l’altro ben può essere rivolta per prima cosa ai minori di religione islamica, che sono inevitabilmente più esposti alle conseguenze di possibili criticità.
Le prime problematiche si riflettono già a partire dal mondo della scuola. Difatti, l’appartenenza all’islam dei minori scolarizzati, soprattutto allorquando provenienti da contesti migratori, comporta una serie di problematiche sin dalle prime immissioni nel circuito scolastico, dove per forza di cose i bambini passano buona parte della loro giornata. Tra le diverse problematiche, risulta utile evidenziarne qualcuna.

Didattica plurale per una scuola inclusiva
Si può infatti osservare come spesso, entrando nella scuola “della diaspora” per le prime volte, i bimbi musulmani si trovino spaesati in quanto riscontrano le prime sostanziali diversità rispetto al contesto di provenienza già a partire dal metodo di rapportarsi tra docente discente. Nel nuovo sistema educativo, infatti, l’assenza di approcci forti ed il confronto dialogico da parte degli adulti vengono spesso scambiati per debolezza e mancanza di autorità, e tutto ciò appare troppo permissivo. Conseguentemente, in un quadro apparentemente così liberale, il nuovo scolaro pensa che tutto sia permesso. Se in ambito familiare l’esempio istruttivo rimane ispirato dalla fermezza e dalla scarsa flessibilità paterna, in maniera coerente con il metodo pedagogico islamico, il permissivismo che caratterizza il contesto scolastico fa emergere una sensibile contrapposizione che può spiazzare anche i caratteri più fermi e risoluti.

Ulteriore problematica è quella della interazione fra generi. Nel mondo musulmano a partire dai sette anni bambini e bambine vengono separati ed in casa cessa ogni forma di promiscuità, venendo di fatto inibita ogni possibilità di interagire e la separazione continua anche in ambito scolare dove gli scolari hanno docenti dello stesso genere. In Italia, come del resto in Europa, ove gli insegnanti possono essere tanto maschi quanto femmine, può accadere che gli scolari musulmani maschi subiscano le direttive delle insegnanti femmine e sottostare alle disposizioni di una donna mette in crisi la concezione della virilità maschile che trasversalmente alberga nel mondo musulmano. I bambini non sono stati educati a distinguere l’identità sessuale e la funzione e mostrano difficoltà di adattamento. Inoltre, la separazione tra bambini e bambine cui i minori sono abituati nei contesti di origine cade in un attimo nelle scuole occidentali dove le classi sono miste. E succede molto più spesso di quanto non si possa pensare che i bambini abbiano difficoltà ad interagire in un ambiente promiscuo, quando addirittura non si rifiutino, più o meno liberamente, di frequentare un siffatto ambito.

Il minore musulmano che viene calato in un contesto nuovo, si trova dimidiato tra l’induzione alla integrazione nella società d’accoglienza e la volontà/necessità di conservazione dei valori e dei riferimenti culturali di origine, venendo così sottoposto ad un notevole stress. Il delicato compito degli insegnanti è quello aiutare i giovani musulmani a gestire questo conflitto, ma non sempre ci si riesce.
Emblematico in tal senso è il caso accaduto nel 2013 in Danimarca dove un commissario esterno d’esame nella cittadina di Horsens nello Jutland, aveva fatto preventivamente sapere che, in ragione della sua osservanza della fede islamica, non avrebbe stretto la mano alle studentesse esaminate. Una studentessa, probabilmente non contenta dell’atteggiamento dell’insegnante, aveva denunciato la scuola per discriminazione e da tale iniziativa nasceva una polemica che coinvolgeva anche posizioni autorevoli, come quella del ministro dell’istruzione, che evidenziava come fosse specifica responsabilità dell’amministrazione scolastica creare un ambiente confortevole in cui far sostenere agli studenti gli esami. A questo episodio fa da sponda un altro caso simile, accaduto nel 2016 in Svizzera e relativo a due fratelli siriani che si erano rifiutati di dare la mano alla loro maestra, contravvenendo ad una prassi che caratterizzava la scuola di Therwil (Basilea-Campagna), prassi che per loro contravveniva alla regola islamica di non interazione tra generi. La direzione scolastica esonerava i due fratelli dal gesto di saluto, con una decisione che alimentava polemiche ed interventi anche autorevoli, tra i quali quello della ministra della Giustizia svizzera che ha dichiarato che non si può accettare questa situazione in nome della libertà di credo. A causa della tensione montata attorno alla vicenda, sulla quale si innestava l’interpellanza parlamentare n. 098/2016, l’Ufficio per l’istruzione, cultura e sport del Cantone Basilea-Campagna emanava una circolare che sanciva la stretta di mano con gli insegnanti come obbligatoria e rappresentativa di un gesto a tutela della libertà religiosa, oltre che un atto importante per la futura integrazione degli studenti nella loro vita professionale. Il documento motivava la scelta asserendo che l’interesse pubblico alla parità fra uomo e donna e quello alla integrazione degli stranieri dovevano prevalere sulla libertà religiosa dei singoli studenti. La dirigenza scolastica sosteneva inoltre che la non volontà di dare la mano all’insegnante di sesso opposto rappresentava una novità rispetto alle problematiche del velo e dei corsi di nuoto, sulle quali i tribunali della Confederazione si erano già espressi e, pertanto, la circolare diventava necessaria poiché la negazione del gesto di saluto per motivi religiosi da parte di uno studente coinvolgeva l’insegnante e i compagni di classe in un atto religioso contro la loro volontà e violante la loro libertà religiosa e, per tali motivi, andava sanzionato con una ammenda.

(continua)

Facebook Comments Box