Lavoro e Covid-19 nella Palestina occupata

co writer (Suhair A. Hamed)

Nella Palestina occupata in questo periodo di pandemia, sembra facile trovare lavoro. Al contrario delle altre zone del mondo. E le persone che riescono a lavorare tanto chi sono? I palestinesi.

Il motivo? Prima che arrivasse la pandemia del Covid-19, i palestinesi dovevano aspettare mesi per un permesso di lavoro, ore in fila ai check-point per passare da una parte all’altra della propria terra e prendere paghe da fame per qualsiasi lavoro facessero.

Da quando il coronavirus ha infestato anche le case e i luoghi degli israeliani, all’improvviso si è visto un cambiamento in atto: gli occupanti non hanno più voluto andare in zone di lavoro dove ci potrebbe essere una pur minima possibilità di essere contagiati, hanno preferito restare a casa come in tutto il mondo, ma non hanno voluto rinunciare a tutte le comodità e servizi che avevano. Come fare?

Semplice, mandare a lavoro qualcuno di cui non importa se si ammala e possa portare la pandemia nelle sue città, quartieri e case dove vive: i palestinesi. Cosi si è riscontrata un’impennata di richieste di lavoro, una facilitazione mai vista nel ricevere i pass-in per i passaggi dai checkpoint che sono risultati, stranamente, aperti e senza controlli, e come se non bastasse, aumenti di paga quasi del doppio per ogni lavoro offerto.

Morale della favola? Sacrificare un intero popolo per il proprio vizio e consumismo, sembra non essere un grande problema per gli occupanti israeliani. Mettere le proprie necessità sopra la sacralità della vita altrui, è qualcosa, a quanto pare, cui sono abituati a fare senza rimorso.

E lo chiamano paese esempio di democrazia? Lo dimostrano con i fatti, con esempi concreti di quale democrazia s’intende. Continuano a dimostrare di non imparare nulla dalla storia anzi, la distorcono a loro uso e piacimento nascondendo e coprendo la verità che è palese davanti tutti gli occhi di chi vuol vedere.

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