La storia di Iqbal Masih, il bambino-schiavo pakistano che si ribellò ai padroni

In Pakistan, prima di Malala Yousafzai, c’era un bambino molto coraggioso: Iqbal Masih, un piccolo eroe ucciso perché voleva solo liberarsi delle catene della schiavitù. Era solo un bambino, ma era un gigante nell’animo. Nacque nel 1983 vicino a Lahore e venne venduto dalla sua famiglia all’età di cinque anni per la somma di 12 dollari ad un fabbricante di tappeti che lo incatenò al macchinario a cui era addetto.

Iqbal lavorava più di dodici ore al giorno per sei giorni alla settimana. Nel 1992 uscì di nascosto da quella fabbrica per assistere ad una manifestazione organizzata dal Fronte di Liberazione dal Lavoro Schiavizzato (BLLF). Tramite Ehsan Ullah Khan, leader del BLLF, si rifiutò di tornare al lavoro e, successivamente, iniziò a viaggiare in tutto il mondo per sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti negati dei bambini lavoratori pakistani e sul contrasto alla schiavitù.

A Stoccolma, nel 1994, mentre teneva una conferenza, pronunciò delle parole che sarebbero diventate un famoso appello che lo identifica tuttora: «Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite».

Iqbal iniziava a dare fastidio, molto fastidio, soprattutto per la pressione mediatica e internazionale, tanto che l’industria dei tappeti pakistana entrò in crisi, soprattutto dopo che il Governo pakistano iniziò a chiudere alcune fabbriche.

Il 16 aprile 1995, giorno di Pasqua (la famiglia Masih era cristiana), Iqbal venne ucciso da una fucilata mentre era in bicicletta. Il BLLF accusò subito dell’accaduto la “mafia dei tappeti“.

Dopo la sua morte, Iqbal divenne un simbolo e l’industria dei tappeti pakistana fu soggetta a maggiori controlli. In tutto il mondo Iqbal Masih ricevette riconoscimenti ufficiali ed anche in Italia scuole, piazze e vie portano oggi il suo nome.

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