La crisi dell’Iran tra coronavirus e politica

Ali-Khamenei-Iran

L’assassinio targato Usa del capo dei pasdaran, Qassem Suleimani, non ha unito la nazione. Avevamo espresso i nostri dubbi sul fatto che l’omicidio fosse poi così nocivo per il paese della Guida suprema, ayatollah Khamenei. Può essere stato il motivo per i conservatori e il Consiglio dei Guardiani per togliere di mezzo i candidati più riformisti e meno uniformi al sistema in vista delle elezioni, ma questo non ha giovato alla parvenza di democrazia del paese, chiamato alle elezioni per rinnovare il parlamento, terza forza del sistema iraniano.

L’ovvia vittoria dei conservatori, 219 seggi su 290 disponibili, è stata accompagnata, però, dalla peggiore affluenza alle urne che si sia mai registrata dal 1979, anno della rivoluzione: il 42.5 per cento, appena il 25 per cento nella capitale, Teheran. Sono andati a votare 24 milioni di persone a fronte di circa 57 milioni di aventi diritto.

Mentre il vero sconfitto delle elezioni, il “moderato” Rouhani, strumentalizza il diffondersi del nuovo coronavirus tra le cause che hanno abbassato l’affluenza, l’ayatollah ha invece ringraziato la popolazione per aver “risposto positivamente alle elezioni”.

 

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