La condanna di Toscani fa bene a cristiani, laici corretti e musulmani

L’articolo 403 del Codice penale è chiaro. Ergo è cosa buona e giusta la condanna, emessa dal tribunale di Milano, al noto fotografo Oliviero Toscani per blasfemia. Noto anche per i suoi insulti. Ricordate quelli a Giorgia Meloni? Il fine pensatore dispensava offese anche a Matteo Salvini. Lo show mediatico ammette simili figure, purtroppo. L’educazione e la critica construens sacrificate sull’altarino fangoso del business. Con buona pace di una fauna sinistra che usa la falce per raccogliere i frutti delle sue cieche martellate. Ovviamente però se nel mirino incappa l’avversario, altrimenti si tirano in ballo tutti i santi princìpi di un Paese civile. E dunque durante una trasmissione radiofonica nazionale, il 2 maggio scorso, però, i princìpi di decoro e correttezza sono stati accantonati: il radical chic sparava contro qualcuno molto, molto più in alto dei politici del centrodestra e di chiesa come un club sadomaso. È stato condannato a pagare una multa di quattromila euro perché «la definizione di Cristo in croce come di “uno attaccato” è una manifestazione di profondo disprezzo per i valori del cristianesimo, una esternazione confrontabile solo al peggior linguaggio propagandistico di un predicatore del fondamentalismo islamico».

Chi è senza raziocinio scagli la prima invettiva contro la limitazione della libertà d’opinione. Scomodiamo il buon senso per ricordare non si può dunque ledere il prestigio di una confessione religiosa, benché sia ammesso criticarla, anche aspramente. Ma non si può parlare facendo in modo da indurre i destinatari della manifestazione di pensiero al disprezzo della religione. La laicità dello Stato, tradita dal fotografo radical chic sul dogma del rispetto, lo esorta:«Va’ e non peccare più». Un sospiro di sollievo per i cristiani, ma manche per i musulmani. Il giudice infatti non ha parlato di propaganda musulmana, ma di quella integralista islamica. Una implicita, sacrosanta distinzione.

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