Italiani all’estero: “Non siamo monatti, ingiusto discriminare”

Gli italiani soffrono in questo momento: in Italia ma anche chi è rimasto bloccato all’estero.

È una dura lotta contro il virus, contro la paura e il dolore delle famiglie, la distanza innaturale tra amici e parenti: la comunità non può cedere e deve rimanere unita, includendo le realtà più fragili, più esposte. E c’è un dolore parallelo, inaspettato, che colpisce dritto al nerbo di tutta la nazione, per cui gli italiani passano per untori, per propagatori dell’epidemia, vengono additati come monatti in paesi fino a ieri alleati e amici. In Europa, ma non solo, anche in Africa. Alle testimonianze di solidarietà, per fortuna numerose, si associano, però, non più solo timori e paure convenienti e comprensibili, ma anche, in un crescendo che va fermato, rabbia discriminante e un’inaccettabile sottolineatura sui casi “italiani” di contagio. La nazionalità sembra diventare veicolo di contagio: è sbagliato, è offensivo.

In Italia le vittime del virus sono persone: si sottolineano i numeri, la gravità dei casi, non la nazionalità. Non si discrimina tra italiani e stranieri, persone con background migratorio residenti in Italia, regolari, irregolari: siamo tutti esseri umani e tutti uguali, tutti ricevono le cure e il Governo, la comunità, si preoccupano della salute di tutti. Il virus non ha nazionalità, mentre la nazione Italia si sta distinguendo nel rispetto della vita, del diritto di cura e alla salute. Di tutti.

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