Il Fascismo e l’Islam, dialogo con Enrico Galoppini (I parte)

Il libro “Il Fascismo e l’Islam”, dello studioso e profondo conoscitore del mondo arabo, Enrico Galoppini, è uno di quelli che bisogna divulgare come fosse per missione, per chiarire i tempi in cui si vive. E infatti questo volume delle edizioni “All’insegna del veltro” (Parma) pubblicato diciotto anni fa dimostra su quali princìpi si fondasse l’amicizia tra Benito Mussolini e il mondo musulmano, gli stessi che qualche decennio fa ispiravano nella destra italiana tentativi di alleanza tra Cristianesimo ed Islam per tentare di risolvere la crisi del mondo moderno e che oggi si invocano quali barriera contro il dilagante nichilismo.

Professor Galoppini, l’amicizia di Mussolini verso l’Islam è stata bollata come calcolo strategico in chiave anti-inglese, ma questo giudizio sbrigativo dimostra la mancanza di conoscenza di visioni di vita comuni a Fascismo e musulmani.

«Bisogna innanzitutto capirsi sui “bollatori”, ovvero i detrattori di questa “amicizia”. I buoni libri che spiegano i contorni di quella che potremmo definire una intesa tra il Fascismo e l’Islam ci sono. Oltre al mio, in un certo senso “pionieristico” (con l’unica eccezione dello studio di De Felice intitolato “Il Fascismo e l’Oriente”), ci sono quelli di Stefano Fabei, nei quali lo storico umbro ha indagato questo fenomeno fin nei più reconditi dettagli. I detrattori – per non parlare di puri e semplici militanti di una causa, quella dell’antifascismo e dell’anti-islamismo – sono perlopiù degli orecchianti disinformati; gente che ha leggiucchiato qualcosa e poi ha bollato il tutto come un fenomeno puramente negativo, nel senso del giudizio di valore sul passato ma anche per scopi pratici dettati dalle esigenze della propaganda politica del momento».

Dunque ricordiamo un po’ di Storia…

«I fatti, comunque, sono questi: sia l’Italia fascista che il mondo musulmano avevano un nemico in comune, l’Inghilterra. Pertanto non poteva non venirsi a creare un’alleanza tattica e pure strategica tra i dirigenti delle due realtà meno inclini alla subordinazione ai diktat d’Oltremanica e consapevoli della necessità di riconquistare il proprio “spazio vitale”. Naturalmente vi erano, da entrambe le parti, individualità ed ambienti che remavano contro: è il caso, da un lato, di quelli che poi saranno i “venticinqueluglisti”, legati alla massoneria inglese, a Casa Savoia e ad un certo mondo affaristico progressista; e quello, dall’altro, di quei dirigenti arabi e non arabi, musulmani e non musulmani, e persino autorità religiose, inclini a servire l’interesse straniero, se non altro per non perdere le prebende garantite dalla sistemazione del Vicino Oriente ad opera delle grandi potenze, soprattutto l’Inghilterra, dopo la frammentazione dell’Impero ottomano. Questa alleanza strumentale tra il Fascismo e l’Islam aveva però, a mio avviso (su questo sono d’accordo con i detrattori, i quali però interpretano la cosa giudicandola negativa, e cioè per poter straparlare di un “fascismo islamico” che vorrebbe distruggere la democrazia, la nostra civiltà e, ovviamente, ammazzare gli ebrei), anche una base ideologica o, per meglio dire, fondata su dei principi. Il Fascismo, infatti, benché originato anche da idee risorgimentali e dunque poco tradizionali (l’Islam ortodosso è invece assolutamente tradizionale), aveva nel suo corredo ideologico anche una potente critica verso il “mondo moderno”, contro gli “immortali principi dell’89” (quelli della Rivoluzione francese). Il Fascismo, inoltre, voleva anche provare a restituire l’Italia alla sua missione, grazie al mito di Roma, il che non si tradusse in un puro e semplice imperialismo all’inglese (o alla francese, in modalità diverse), ma tentò, riuscendoci in parte (la guerra avrebbe interrotto quest’esperimento), a cooptare anche le popolazioni musulmane dei possedimenti italiani in una nuova concezione della cittadinanza, di tipo più “romano”, “imperiale”, piuttosto che giacobino e contrattualistico. Alcuni studiosi ed agenti d’influenza (cito tra tutti Enrico Insabato, anarchico, musulmano, in contatto con René Guénon ed il suo maestro sufi), lavorarono in maniera costante per il governo italiano allo scopo di allacciare relazioni con le autorità islamiche più autorevoli, nell’ottica di una intesa tra l’Italia e l’Islam (in questa scia s’inserisce anche il tentativo, d’inizio Novecento, di intitolare una moschea al Cairo a re Umberto I, e lo stesso dicasi di quello, fallito, di erigere sotto il governo Mussolini una moschea a Roma)».

Occorre ancora precisare, smentendo quindi le semplificazioni degli pseudostorici, che questa consonanza di spiriti non fu mai volta all’antisemitismo. Esso non è proprio dei musulmani e per il fascismo fu puramente tattico.

«Purtroppo, col senno di poi (e cioè con la diffusione del “mito olocaustico” assurto a verità unica ed indiscutibile, quasi al rango di unica religione rimasta), tutta questa ventennale vicenda – che tra l’altro ha visto alti e bassi (si pensi alla condanna di autorità islamiche quali il gran mufti di Gerusalemme all’ora della riconquista della Libia) – è stata letta con gli “occhiali” dei parametri più in auge presso una certa pubblicistica preoccupata d’inquadrare i fatti del passato nelle fisime ideologiche del presente. Il motivo degli arabi e dei musulmani “antisemiti” (diffuso da specialisti come Bernard Lewis, ebreo inglese) fa presa su un pubblico di destra, di una destra oramai defascistizzata da decenni di lavaggio del cervello e ridotta ad una variante del “pensiero unico” occidentalista convinto di detenere in esclusiva “La Civiltà”. Il Fascismo, beninteso, non era né di destra né di sinistra, ma è un fatto che nel dopoguerra il principale partito di riferimento degli ex fascisti, l’Msi, si sia collocato (o è stato collocato…) a destra, con sviluppi sempre più marcati in quella direzione, fino alla cosiddetta “svolta di Fiuggi” del “camerata” Fini, filo-sionista caricaturale, professionista in “pentimenti”. Dico questo perché negli anni Venti e Trenta Mussolini ebbe, da vero statista qual era, rapporti sia coi delegati del Movimento sionista sia coi rappresentanti più autorevoli dell’Arabismo e dell’Islam, sempre nell’ottica di liberare l’Italia e il Mediterraneo dalla soffocante presenza inglese. Se poi il Sionismo (che non rappresentava e non rappresenta tutti gli ebrei!) ha scelto di montare il “cavallo inglese” (dopo averne valutati altri), questo non lo si può certo addebitare a Mussolini e al Fascismo, i quali dovettero prendere atto – durante la guerra di Spagna – che quasi tutti i quadri dirigenti italiani delle Brigate internazionali erano ebrei, al che la cosa provocò nel capo del Fascismo un certo turbamento, perché gli ebrei, in via di principio, avevano ricevuto dal Fascismo solo vantaggi, compresa l’accoglienza di migliaia di loro espatriati dalla Germania dal 1933. Da parte loro, gli arabi ed i musulmani, in specie quelli del Levante (o Vicino Oriente che dir si voglia) guardavano con crescente preoccupazione agli insediamenti sionisti che l’Inghilterra, potenza mandataria che spadroneggiava ben oltre i limiti del mandato stesso (si leggano in proposito le pagine di “Oriente Moderno”, la rivista dell’Istituto per l’Oriente fondato nel 1921), acconsentiva che venissero edificati in Palestina in barba ad ogni basilare rispetto per gli arabi ed i musulmani, turlupinati, nella persona dello Sceriffo Hussein, immediatamente dopo la Prima guerra mondiale».

(continua)

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