In collaborazione con Suhair A. Hamed
Alla luce dell’entrata in vigore della legge sulla criminalità in rete, introdotta in Giordania, ogni persona che esprime il suo parere può essere sottoposta a censura dallo stato. Molti opinionisti politici e influencer giordani, a causa diquesto, sono rinchiusi in prigione e accusati di minare la credibilità dello stato.
Chiunque esprima un’opinione politica sui social media, aggirando il controllo e la censura, può essere processato dalla Corte Suprema e condannato a una pena detentiva di minimo tre anni.
Chi è colpito da questa legge ha diverso trattamento secondo il sesso di appartenenza. Se sei un uomo puoi bypassare gli effetti della condanna facendo lo sciopero della fame o richiedendo gli arresti domiciliari, e spesso hai il supporto della famiglia di appartenenza. Se sei una donna tutto è reso impossibile, causa la cultura misogina e prettamente patriarcale dei giordani.
Le donne sono, anzi, costrette alle pene maggiori, come il ricovero nei sanatori psichiatrici e l’annullamento di tutti i loro diritti civili, e le famiglie sono costrette a ripudiare le proprie figlie, mogli o madri incappate nelle maglie di questa legge.
La Giordania non è in grado di affrontare questo problema, vuoi per la crisi che sta passando da anni, vuoi anche la grande corruzione a cui sono sottoposti gli apparati dello stato.
Con il lockdown, la crisi si è accentuata, tutto è venuto allo scoperto, la povertà è aumentata e lo stato, anche se cerca di ovviare a tutto ciò, non riesce ad aiutare la gente sempre più affamata e disagiata, la quale sta portando la Giordania sull’orlo di un precipizio senza fondo.
Nei prossimi articoli racconteremo con l’aiuto di Suhair Hamed cosa è accaduto e ancora accade a chi, nel paese della regina Rania, cerca di esprimere un parere in disaccordo con il potere.