Faleminderit Albania. Piccolo auspicio di fratellanza

All’indomani del crollo del Muro e della disgregazione del regime sovietico eravamo la loro più vicina ancora di salvezza; la loro America, come recitava anche un fortunato film di Gianni Amelio, a ripercorrere il nostro passato (mai davvero passato) di emigranti. Sono trascorsi pressappoco trent’anni e l’economia albanese è in crescita, mentre l’Italia è caduta in una lenta agonia cui l’emergenza Covid-19 rischia di dare un’improvvisa accelerata. Ma gli albanesi non hanno dimenticato quello che gli italiani hanno fatto per loro, come li hanno accolti, la speranza che hanno saputo recuperare anche grazie alla nostra solidarietà.

Così il loro presidente, Edi Rama, con grande generosità, invia all’Italia quello che può. Personale medico e infermieristico. Un comunicato asciutto, ma pieno di concretezza e di dignità, cui ci permettiamo di fare l’unico appunto di continuare a usare una retorica militare che sta purtroppo invadendo ogni campo di questa emergenza sanitaria. Vorremmo chiosare che i governi sono in piedi, le sovrastrutture anche e che abbiamo ancora tutto il tempo di coordinare sforzi e mutualità nel contesto interregionale e internazionale. Ogni riferimento all’Unione Europea è puramente voluto.

È molto bello ricevere questa specie di “solidarietà di ritorno” per quello che racconta, i tanti gesti umani di fratellanza tra le due nazioni, e anche per quello che non dice: riceveremo proposte future? sono in campo altri accordi che non conosciamo, un po’ come nel caso di Russia e Cina? Questo il momento di accettare e di ringraziare:
Faleminderit Albania!

Abbiamo aiutato gli albanesi in casa nostra, siamo anche andati a farlo in casa loro, a volte con prepotenza, altre volte perché richiesti, altre volte ancora per semplice spirito di fratellanza. E abbiamo dato loro una mano concreta per la ricostruzione. Gli italiani che oggi vivono in Albania o che vi si trovano per brevi periodi di viaggio o lavoro ne parlano come di una versione italiana nel pieno boom dei Sessanta. Qualcuno vorrebbe incoraggiarli, qualcuno vorrebbe avvisarli di non commettere gli stessi errori: la cementificazione, la corruzione, la fretta.

Siamo molto contenti che Edi Rama, a nome di tutti gli albanesi, dica di non dimenticare. Siamo molto contenti soprattutto perché quello che lui vuole ricordare è il lato positivo del rapporto con l’Italia. Non si riferisce all’invasione del 1939, per esempio. Non menziona lo Stadio della Vittoria di Bari, dove gli albanesi erano stati rinchiusi poco dopo lo storico sbarco dei 27mila profughi della nave Vlora e  solo pochi giorni dopo l’accoglienza aperta, disorganizzata accorata di Brindisi. Non ci ricorda che per almeno un decennio in Italia ci si dava dell’albanese in maniera spregiativa. Non ci parla della Strage del Venerdì Santo, quando il 28 marzo del 1997 una corvetta della marina militare italiana speronò una cosiddetta “carretta del mare”, la Kater i Rades, provocando 81 morti e un massimo di 27 dispersi, giunta poi a una sentenza che non ha accertato le responsabilità dell’intera filiera di comando. Non si è chiesto perché poi a Tirana si sono sbrigati molto prima che in Italia a dedicare una strada al giovane intellettuale Alessandro Leogrande, che di quei fatti si è occupato con grande impegno e onore. Non ha giustamente menzionato le latitanze, il contrabbando, la tratta delle bianche.

Questo lungo elenco di pessimi motivi per voler bene all’Italia non può neanche essere controbilanciato dalle belle cose fatte dagli albanesi qui da noi. Sei anni fa si celebravano le nozze d’argento tra la musica popolare salentina e il balkan, siamo arrivati alle nozze di perla.  Ma poi? Gli albanesi sono “scomparsi”, tanto da portarci a chiedere, come il regista Andrea Segre, la storica trasmissione Presadiretta,  il mio progetto giornalistico Palascìa, l’informazione migrante, “che fine hanno fatto gli albanesi?”. Provava a rispondere lo psicologo Massimo Cirri sul Post: “Se incrociamo i dati si capisce che hanno cominciato a sparire, gli albanesi, dalla crocefissione mediatica, dal centro del problema, dal continuo soffriggere su ‘cosa ne facciamo’, quando – semplicemente – sono cambiate alcune leggi e andare e venire dall’Albania all’Italia è diventata una cosa un po’ più normale. Che si poteva fare comprando un biglietto e salendo su un traghetto. Una nave normale. (…) Così possiamo dire che l’integrazione più difficile dei nostri giorni, la possibilità di integrazione di chi arriva da un altro luogo cambia un po’, smette di essere un problema, quando dai luoghi si può andare e venire”.

La lezione dell’Albania, oggi, non dev’essere riposta nel suo senso di gratitudine per la munifica Italia, ma nel suo senso di solidarietà. Sappiamo cosa significa e quanto può costare essere davanti a una telecamera ad annunciare di potersi permettere quella gratitudine, perché il proprio paese ha raggiunto una soglia di ricchezza che lo permette. Su Daily Muslim diamo visibilità anche a gesti di solidarietà da parte di chi non ha niente e capiamo che bisogna lavorare perché nessuno resti indietro, non in un sistema di pesi e misure.

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