Dubbi sull’operazione Soleimani

L’assassinio del generale iraniano Soleimani sembra aver avuto implicazioni impreviste che nessuno, forse, si aspettava.

Ci aspettavamo un attacco distruttivo da parte dell’Iran colpito, visto che spesso è così: dopo aver subito un’aggressione si lanciano missili in ogni luogo per colpire alla rinfusa, senza avere una ben mirata strategia. I persiani confinano con paesi che vantano forti alleanze con gli USA e che avrebbero potuto colpire perché sono gli stessi che vogliono la cacciata del regime degli ayatollah. Invece, Khamenei, presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, ha stupito tutti, non facendo assolutamente nulla, nonostante avesse promesso una vendetta terribile e che avrebbe colpito direttamente gli interessi statunitensi.

Lanciare qualche missile su una base statunitense, anche se una delle più importanti, avvertendo il governo che la ospita, quello iracheno, e di conseguenza avvisando chi doveva essere colpito, senza recare nessun danno, più che di rappresaglia o di cruenta vendetta, credo si possa parlare piuttosto di una semplice dimostrazione verso il mondo nemico, ma ancor di più verso il proprio popolo amico.

La base e gli statunitensi, non hanno subito nessun danno e feriti, grazie a Dio, ma se mettiamo in correlazione i due fatti, si può definire reazione di ugual misura?

Il dubbio sorge spontaneo: il generale che molti, e non tutti, hanno pianto in Iran, e che moltissimi fuori dalla repubblica sciita hanno quasi festeggiato per la sua dipartita, era diventato troppo potente da far paura anche alla governance iraniana?

Sappiamo delle sue azioni violente in Siria e in Iraq e delle influenze guerriere che dava al “Partito di Dio” in Libano, e con queste azioni era diventato più di un eroe per chi spingeva a una guerra-rivoluzione contro gli interessi dell’Occidente in Medio Oriente.

È pur vero che l’Iran ha dimostrato l’inefficienza della difesa aerea delle basi americane all’estero, quindi ha dimostrato che qualche missile ben mirato può arrivare dove nessuno aveva osato sin d’ora, ma questa scaltrezza è stata minata da un assurdo bersagliamento di un aereo civile dalla contraerea persiana. Che ci sia stato un attacco elettronico che abbia mandato in tilt tutto l’apparato difensivo, vista la grande potenza dimostrata giorni prima? Forse è stato un contrattacco statunitense? Sarebbe un colpo di genio delle forze a stelle e strisce, che dimostrerebbero così di essere molto avanti nella guerra moderna, ma sarebbe allo stesso tempo un’azione molto infame, perché ha colpito dei civili. Per dimostrare la superiorità e la causa tutto è permesso? I dubbi sul 9/11 potrebbero essere eloquenti. Non saprei, sono supposizioni.

Non sono supposizioni, invece, le dichiarazioni del governo kuwaitiano, dal quale sono giunte dichiarazioni agli States di non voler avere nulla a che fare con eventuali rappresaglie contro l’Iran e che non hanno alcun ruolo nell’uccisione del generale in capo persiano. E non è una supposizione la lettera consegnata a mano a Trump da uno dei figli di Re Salman dell’Arabia Saudita, il quale dice apertamente di no a Trump riguardo all’ipotesi proseguire gli attacchi all’Iran e di affermare chiaramente che i Saud non hanno nulla a che fare con l’assassinio in terra irachena.

Sembrerebbe che gli oppositori esterni degli ayatollah non vogliano essere invischiati in situazioni pericolose, nonostante stiano combattendo una guerra quinquennale in Yemen contro l’Iran. A questo punto mi sorge ancora il dubbio: vuoi vedere che non si aspettava altro in Medio Oriente per cambiare in meglio la situazione che ormai era diventata insopportabile? Vuoi vedere che quest’uomo dall’inseparabile anello rosso era cosi potente e fastidioso che non si sapeva come toglierlo di mezzo se non in questo modo? Dubbi.

E a chi avrebbe davvero giovato questa sua dipartita? Al regime teocratico iraniano che negli ultimi mesi era sotto tensione da parte dei cittadini che chiedevano cambiamenti anche al governo, e con quest’assassinio tutto il popolo si è magicamente riunito sotto la bandiera tricolore. E soprattutto a lui, Donald Trump, l’artefice di quest’azione che ha colpito in terra straniera un’eminente carica di un altro stato, senza chiedere permesso a nessuno (per la giurisprudenza internazionale è considerato un atto terroristico). Questa’azione ha dato lustro al presidente che versa in gravi difficoltà nel suo paese  soprattutto per via dell’impeachment voluto dai suoi oppositori.

Come sempre accade, però, non tutte le ciambelle riescono col buco: ora che il probabile attacco elettronico che ha portato a compiere l’errore umano che ha abbattuto l’aereo ucraino è stato reso ufficiale da Khamenei, tutto il popolo si è risvegliato dal torpore anestetico dei funerali di massa e inizia di nuovo a contestare i capi iraniani.

Sarà anche questo un complotto? I miei dubbi rimangono.

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