Dopo Rula Jebreal ieri a Sanremo, per me la kermesse è già finita

Non lo seguo quasi mai, troppo scontato specialmente nelle vittorie di canzoni che non avranno quasi mai successo. È una di quelle azioni della vita che danno ragione ad alcuni detti: “beati gli ultimi che saranno i primi”. Accade quasi sempre cosi.

Ricordo uno dei miei ultimi visti, che mi tenne incollato di fronte allo schermo; risale a quando Vasco, mentre cantava sul palco, lasciò cadere il microfono e andò via. Fu una folgorazione: vado al massimo e vado a gonfie vele.

Non seguivo ciò che per me rappresentava in pieno il populismo borghese dell’italiano medio e quindi tutto quello che io combattevo, in gioventù. Non mi ha mai interessato. Ieri sera però, non potevo non esimermi di vedere come sarebbe andata, con la giornalista italo palestinese, Rula Jebreal, che ha subito attacchi da molti italiani populisti che secondo me non sono in grado neanche di accostarsi al suo fianco. Non parlo di quei cittadini, di quegli internauti, di quei follower che senza chiedersi un perché rendono proprie idee pre-stampate altrui. Mi riferisco ai vari Capezzone, Salvini, Meloni, Porro e altri a loro pari, che hanno fatto una battaglia feroce contro la scelta di Amadeus di portare Rula Jebreal al festival, condivisa all’inizio dai vertici di Rai Uno.

Non lo nego, ho partecipato a questo duello virtuale, anche se ogni volta me ne pento. Non vale la pena abbassarsi a quei livelli, ma lo spirito animale che ne deriva di quella “vita al massimo” scelta negli anni ottanta, mi porta a essere impulsivo e troppo guerriero, non con la tastiera, che mi limita tanto, ma nella vita reale, e di conseguenza in ciò che faccio. Io preferisco il contatto visivo dello sguardo e del suono della voce al freddo picchiettare dei tasti.

Ho letto e ho visto come gli italiani (mai stati brava gente) sono malati di misoginia e razzismo, comprese moltissime donne, che sono le peggiori sui social e che seguono questi personaggi sopra citati. E devo dire che non puoi avere uno scambio con questa gente: sbatti contro un muro, e neanche di gomma. È l’effetto sovranista-populista, purtroppo.

Nonostante tutti questi commenti poco edificanti e poveri di contenuto, la Jebreal a Sanremo ci è arrivata.  Dopo l’intervento basato solo ed esclusivamente sulla bellezza come via di aiuto, per sfondare nello spettacolo e nella vita fatto dalla compagna di conduzione, Diletta Leotta, che onestamente, ho trovato un po’ deludente – ma sono sicuro che sia piaciuto tantissimo ai personaggi sopra citati- finalmente ho potuto ascoltare Rula.

Dire che è stata immensa è poco? Dire che ha spazzato via come un ariete tutti quei commenti razzisti e misogini di quei personaggi, che si innalzano a rappresentanti di un italianità che solo loro conoscono? Dire che è stato un pugno in faccia a tutti voi che avete criticato l’intelligenza e la semplice bellezza di una donna nata in un altro paese, è dire poco?

Una lezione data a tutti questi personaggi. Monologo crudo, forte, appassionante e toccante. Parole che hanno rotto quel populismo borghese che imperversa in questi spettacoli di mamma Rai. Non bisogna parlare di, fare riferimento a, non si può oltrepassare questo o quello. Può dar fastidio.

E le sue parole, scritte con l’aiuto di Selvaggia Lucarelli e Giorgio Cappozzo, sono andate diritte a segno. Raccontare della madre che ha subito sino alla sua morte, credere nella vita e sperare in meglio, avere come progetto futuro una figlia che rappresenta ciò che lei spera per le donne. il suo pensiero sublime incarnato, devono assolutamente far tacere tutti. Non si può rispondere a chi mette, in evidenza, le sue esperienze di vita pur drammatiche, per dare un messaggio di rispetto e uguaglianza, che ancora, nell’epoca della conquista di Marte non esiste.

Le donne, vorrei dire a questi personaggi, più che populisti, approfittatori del sentimento dominante, non sono “puparottole” da mostrare in vetrina e farle stare in silenzio. Anche quando dicono che nella vostra Italia, quella razzista, sovranista, ipocrita e fatta da “italiani brava gente”, non vogliono più metterci piede.

Con quella Italia, che per fortuna non mi governa più, neanche io voglio più averci a che fare, preferisco quella che dona col cuore, quella che si accorge del povero vicino casa e lo aiuta senza chiedere nulla e non farsi notare con un video sui social. Preferisco quella Italia che dà la possibilità a tutti di parlare, di mostrarsi, di avere scambi di idee con tutto il mondo che ci circonda. Non quella del filo spinato, dei muri o dei porti chiusi.

I due imperi più grandi al mondo non avevano muri, non chiudevano porti, non erigevano filo spinato, ma scambiavano merci, parole e pensieri. Inglobavano e non separavano. L’impero romano e quello musulmano sono stati i più grandi forgiatori di idee, leggi, scoperte e scambio di gente. Permettevano a tutti di arrivare a Roma o a Baghdad per parlare ed esprimere le proprie idee, e spesso le assorbivano per crescere.

Ecco perché aspettavo Rula Jebreal ieri sera. E non poteva far meglio di cosi. Ecco perché dico, e me ne scuso con Amadeus, se mai leggerà, che per me il festival è già finito subito dopo aver metabolizzato il monologo di una giornalista donna, colta, nata straniera ma diventata italiana.

Gli italiani che voglio.

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