Cultura e nuove generazioni a “Protagonisti!” 2022 (1/2)

Il principio di non discriminazione è contenuto in numerose fonti normative interne ed internazionali.
Con riguardo alla normativa interna, il primo riferimento alla non discriminazione si ritrova nella Costituzione che all’art. 3 prevede il principio di eguaglianza in senso sia formale (comma 1) che sostanziale (comma 2), da cui conseguentemente deriva il divieto di discriminazione.
Per il resto, la definizione di un vero e proprio principio di non discriminazione è contenuta in numerose fonti normative, tra le quali, in particolare:
 la legge 25 giugno 1993, n. 205, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”
La legge sanziona e condanna azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. In particolare l’art. 1 riguarda la discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
– il D.lgs. 9 luglio 2003, n. 215– Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica nel settore pubblico e privato, con specifico riferimento al mondo del lavoro, ma anche all’assistenza sanitaria, alle prestazioni sociali, all’istruzione, all’accesso a beni e servizi, incluso l’alloggio.
– il D.lgs. 9 luglio 2003, n. 216 – Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Tale decreto stabilisce la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, sia nel settore pubblico sia in quello privato, a prescindere dagli handicap, dalla religione, dalle convinzioni personali, dall’età o dall’orientamento sessuale.
– il D.lgs n. 286/98 (articoli 43 e 44) contiene l’individuazione puntuale degli atti di discriminazione e la disciplina dell’azione che si può avviare in sede civile nei casi in cui si è vittima di atti di discriminazione.Ho sentito che esiste una legge che tutela dalle discriminazioni. Ma cosa si intende esattamente per atto di discriminazione?

L’articolo 43 del testo unico sull’immigrazione ( D.lgs. n. 286/98)  qualifica come discriminatori i comportamenti che, direttamente o indirettamente, operano una distinzione, un’esclusione, una restrizione o una preferenza per motivi di razza, colore, nazionalità, etnia, religione e che abbiano l’intento o l’effetto di distruggere o compromettere il riconoscimento o l’esercizio, in condizione di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica. In particolare sono individuati i seguenti atti di discriminazione in ragione dell’appartenenza a una determinata razza, religione, etnia o nazionalità :
– compimento o omissione di un atto ingiustamente discriminatorio nei confronti di un cittadino straniero, da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio o di un esercente un servizio di pubblica utilità;
– imposizione di condizioni più svantaggiose o rifiuto di fornire beni o servizi offerti al pubblico;
– imposizione di condizioni più svantaggiose o rifiuto di fornire l’accesso all’occupazione, all’alloggio, all’istruzione, alla formazione e ai servizi socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia;
– azioni od omissioni dirette ad impedire l’esercizio di un’attività economica legittimamente intrapresa dallo straniero regolarmente soggiornante in Italia;
– atti o comportamenti compiuti dal datore di lavoro o dai suoi preposti diretti a discriminare anche indirettamente il lavoratore straniero.

Che cosa si intende per discriminazione diretta? E per discriminazione indiretta?

Si ha discriminazione diretta quando una persona viene trattata meno favorevolmente in ragione della sua appartenenza ad una diversa razza, etnia, religione, orientamento sessuale, etc….
In tali casi il criterio da cui trae origine il trattamento svantaggioso indica in modo esplicito,
o comunque inequivocabile, il fattore di rischio discriminatorio.
Ad esempio, costituisce ipotesi di discriminazione diretta un annuncio di locazione che escluda per principio l’affitto ai cittadini stranieri.
Si ha discriminazione indiretta quando la differenziazione che causa pregiudizio sia conseguenza dell’applicazione di criteri formalmente “neutri” ma che oggettivamente svantaggiano o discriminano una certa categoria di persone caratterizzate dalla medesima appartenenza razziale, etnica, nazionale, etc…
In questi casi la discriminazione si manifesta in modo più nascosto poichè prende in considerazione fattori apparentemente “neutri”, senza riferirsi in modo diretto a quelli di rischio discriminatorio (quali la nazionalità, la razza, l’età, il genere, etc…).
Ad esempio, un criterio di selezione per un lavoro che richieda la residenza pregressa in Italia per un certo numero di anni può essere indirettamente discriminatorio nei confronti dei cittadini non italiani. Tali condotte sono giustificabili solo laddove il fine per cui vengono messe in atto sia
legittimo ed il loro perseguimento avvenga tramite mezzi appropriati e necessari.

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