Covid-19, povertà, mafie. Il sociologo Palmisano: Regole e solidarietà per il cambiamento

L’emergenza sanitaria e la cessazione prolungata delle attività economiche in Italia hanno fatto emergere alcune grandi criticità nazionali e la loro imperfetta gestione, tra etichette e pregiudizi, sotto molti aspetti: quello politico prima di tutto, quello sociale in secondo luogo e infine quello economico. Come dobbiamo trattare da subito i temi della povertà, degli ultimi, del crimine organizzato perché questa esperienza cambi davvero in meglio la società e la politica italiane?

Abbiamo affrontato molti di questi aspetti con Leonardo Palmisano, sociologo, scrittore di fiction e autore di numerosi articoli e saggi sul caporalato e le mafie, in particolare quella nigeriana, a cui è dedicato il suo “Ascia Nera”; presidente di Radici Future; attivista e candidato alle ultime primarie per il centrosinistra in Puglia.

Professori che si rivolgono alle mafie perché mettano in quarantena i loro affiliati sui territori; la ‘ndrangheta che abbasserebbe o annullerebbe i tassi di usura per avere un riconoscimento sociale; le infiltrazioni nelle politiche sanitarie e negli appalti del Nord. In tempi di crisi sanitaria le mafie sembrano passarsela piuttosto bene sotto i profili dell’espansione economica, del potere, del riconoscimento e del consenso. Sembra che la loro capillarità nei territori e le loro strutture siano perfette in tempi di emergenza. Possiamo provare sinteticamente a descriverne le dinamiche per fare emergere i tratti principali della loro azione, come fosse una foto d’insieme?

Difficile dire come si collocheranno le mafie, dipenderà molto da come ogni territorio deciderà di sottoporsi al loro potere. Una cosa è certa, esse assumeranno ancora di più i caratteri di una società, di un qualcosa che partorisce istituzioni, regole, economie. In questa società comanderanno i più potenti, non i più ricchi, perché le mafie ormai sono lignaggi, cognomi, blasoni. Saranno questi lignaggi a governare i processi di costruzione mafiosa della società.

Il procuratore antimafia Cafiero De Raho ha sottolineato la pervasività della camorra nei settori trainanti dell’economia e i suoi rapporti con i narcos. Perché l’emergenza la favorirà?

Saranno favorite quelle parti di sistemi mafiosi già presenti nel mondo dell’impresa. Cafiero De Raho anche per Foggia ha parlato di borghesia mafiosa, di strati di società legale interni alla mafia e viceversa. Siamo a questo: se diamo ancora credibilità ai sistemi produttivi nei quali ci sono le mafie, diamo una mano alle mafie.

Mercato nero delle bombole d’ossigeno;  furti di dispositivi di protezione sanitaria (mascherine, tute, occhiali, guanti) fino alle penetrazioni negli appalti per la sanità d’emergenza. Cosa succede nelle maglie dell’economia emergenziale perché il crimine organizzato ne possa approfittare in questo modo?

 Succede che il crimine trova spazio dove lo Stato è in emergenza e dove il privato legale non è in condizione di arrivare perché troppo stressato dalla burocrazia. La burocrazia, non le regole, ma la burocrazia favorisce le mafie, perché si alimenta di mazzette, prebende, regali… Corruzione.

Abbiamo assistito a Palermo a incitazioni via Facebook dei malavitosi ai domiciliari a ribellarsi, a organizzare assalti, a destabilizzare il sistema. Cos’ha da guadagnarci la mafia in una situazione di caos e di disordine sociale?

Ci ha già guadagnato con un piccolo e inutile decreto svuotacarceri. Ci guadagna quando le rivolte indeboliscono il peso del controllo dello Stato nei territori dove loro sono egemoni.

Il magistrato Giuseppe Pignatone ha posto l’accento su come l’uscita dall’emergenza potrà ancora una volta favorire l’espansione della mafia nelle “smagliature” delle regole: qual è il rischio più grande e come lo si previene?

Non bisogna cancellare regole e controlli, ma sottrarre le decisioni dagli apparati amministrativi. Le scelte si costruiscono con indirizzi politici precisi. Non possono più essere i dirigenti a fare politica pubblica in questo Paese. Sono loro la parte meno sana dell’apparato pubblico. Lì si annida la corruzione. Le regole servono anche per liberare il mercato dalla retorica dell’emergenza. Regole certe, salde, ragionevoli e ridimensionamento dell’arbitrio dei dirigenti pubblici.

I migranti, destinatari di etichette come “invasori” e di leggi “di emergenza” da quarant’anni (alla faccia dell’emergenza) come sono trattati in questa vera emergenza, quale attenzione si dovrebbe porre nei loro confronti e quale sarebbe anche il valore simbolico e sociale di una misura nei loro confronti?

 In Italia i migranti sono trattati male, perché c’è una legge dannosa e razzista, la Bossi-Fini che non tutela il diritto, ma è fortemente discriminatoria. Adesso è il momento di abrogare quella legge e di integrare il numero più alto possibile di stranieri, perché per superare la crisi avremo bisogno di persone fresche e ambiziose. I migranti sono prevalentemente giovani e desiderosi di vivere.

E come sarebbe opportuno relazionarsi con i senzatetto e, più in generale, come trattare i poveri e gli ultimi di questo tremendo sistema sociale?

La povertà sarà il tema di questo secolo. Va raccontato il portato liberatorio di questa fase, che ci farà uscire dall’accecamento della ricchezza consumistica e ci porterà a dare dignità e libertà alla povertà. Tutti più poveri significa anche tutti più uguali, tutti più solidali, tutti meno cattivi. E meno vincolati all’arricchimento altrui.

Il ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Giuseppe Provenzano, ha ipotizzato l’estensione di un sussidio ai lavoratori in nero. Al di là di uno stigma morale, con quale metro di giudizio è possibile accogliere questa proposta?

Non condivido per niente. Il lavoro in nero non è lavoro, è sfruttamento. Lo sfruttamento va represso, non giustificato.

Volendo dare uno sguardo in generale a tutte le questioni che abbiamo trattato, non è sfuggito che sulla stampa si è letto molto come se queste fossero il solito problema che riguarda solo il Sud. È davvero così che vanno liquidate? Non potrebbero essere lette, invece, come nodali questioni sulla redistribuzione della ricchezza?  Che cosa occorrerebbe fare nei territori e a livello centrale?

Secondo me il decentramento sanitario si è rivelato un fallimento. Lo Stato deve riportare a sé la regia della Sanità pubblica e di quella privata, in un’ottica di riequilibrio tra territori e di sanità di prossimità. Il sistema settentrionale è fallito, come è fallita qualunque idea di decentramento o di autonomia. Si torni a dare potere, anche mettendo in discussione il ruolo delle Regioni.

Cambierà davvero qualcosa in meglio, dopo tutto questo? Cosa e come andrà preparato?

Sta già cambiando. Il peggio è il disegno sovranista, alla Orban, alla Salvini, alla Le Pen. Il meglio sta nelle parole di papa Francesco: persone, lavoro, uguaglianza sociale. Serve un intervento sulle comunità, non sulle istituzioni. Le comunità saranno il centro del futuro della democrazia. Non servono istituzioni comunitarie, ma comunità che ragionano come fossero istituzioni.

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