Aysha, giovane musulmana impegnata nella Croce rossa

Un impegno che sia d’esempio per altri giovani, quello di una ragazza nata in Pakistan ventuno anni fa, ma ormai italiana. Un tassello, lei, Aysha, di quella società che piace. Che sa guardare oltre il proprio naso. E che ci piace raccontare.

Aysha vive a Porto Potenza Picena, in provincia di Macerata. E il suo accento tradisce una lieve impronta marchigiana. «Ero piccolissima, avevo due anni quando sono arrivata in Italia, quindi quasi come se fossi nata qui – racconta la giovane -. La mia famiglia è molto legata alle tradizioni e alla religione, ci ha sempre impartito un’educazione religiosa sin da piccoli a me e ai miei fratelli.

Mi sono trovata bene in generale, però poi, crescendo, un po’ di problemi per il razzismo, riguardo all’Islam, quelli son capitati anche a me». Correvano i primi anni della scuola superiore. Ricorda, Aysha:«A scuola, ad esempio, c’erano dei ragazzi in classe che puntualmente facevano riferimento all’Isis, al fatto dell’11 settembre, perché ero l’unica musulmana in classe e quindi mi attaccavano spesso». Qualcuno soffiava sul fuoco di una tragedia:«C’era un ragazzo che mi ricordava sempre dell’11 settembre, diceva che i musulmani sono terroristi». La reazione:«Io non rispondevo, ci rimanevo male, però cercavo di dirgli che i musulmani non sono terroristi». Non solo allora le diffidenze:« Poi, dopo la scuola, io ho iniziato a mettere il velo e anche lì ho visto una differenza tra quando sei come tutti gli altri e quando vai in giro vestita in modo diverso: ti guardano tutti con occhi strani, anche lì ho sentito spesso riferimenti al terrorismo».

Aysha non porta più il velo. «Per un periodo l’ha indossato – racconta -, perché non ero molto sicura delle mia scelta, allora ho avuto periodi in cui non l’ho più portato». Una decisione che non sempre è ben vista nelle famiglie musulmane. «In famiglia – riferisce la giovane – veramente non mi hanno mai creato problemi, non ce l’hanno mai imposto, era stata una scelta mia».

Dunque nessuna difficoltà a conciliare la religione islamica con la tradizione di un Paese cristiano.«No, difficoltà proprio no, perché io sono legata alla mia religione e cultura, ma sono ben integrata, anche riguardo alla festività: io vivo entrambe le culture, sia la mia che quella del Paese in cui vivo. Abitualmente frequento la moschea, partecipo agli incontri religiosi e allo stesso tempo condivido il tempo con le mie conoscenze che sono cristiane». Lo scrupolo di offendere chi non è cristiano celebrando il Natale o la Pasqua è dunque una fisima. Le parole di Aysha ne forniscono ulteriore conferma: «Natale soprattutto è un periodo di festa per tutti, non è mia, però la vivo come un periodo festivo. Tante volte capita anche che conoscenti italiani mi invitino a pranzo o a cena o alla vigilia, si sta insieme». Nessun turbamento dunque per presepi e crocefissi:«No, assolutamente nessun problema, io rispetto tutte le religioni, ho quasi più amici e conoscenti italiani che pakistani e musulmani. Anche mia madre, ad esempio, ha molte amicizie con delle signore italiane: dove c’è rispetto si può stare con tutti».

Un anno fa l’inizio dell’impegno in Croce rossa. «A me – spiega Aysha – da sempre piace il mondo del volontariato e mi sono impegnata ad aiutare il prossimo per quanto potevo. Non facevo parte però di un’associazione, ogni tanto aiutavo la Caritas della mia città, davo una mano nella distribuzione dei pacchi e degli alimenti. Poi ho visto che c’era il corso per entrare in Croce rossa, l’ho seguito e subito mi sono appassionata, perché al di là del trasporto sanitario dell’emergenza, lavoriamo come protezione civile». E tra volontari le distanze si azzerano. «Lì mi sono sentita accolta – riferisce la ventunenne – perché la Croce rossa si basa su sette principii fondamentali tra cui ci sono umanità e l’uguaglianza tra tutti, quindi ho trovato delle persone molto gentili, pronte ad aiutare chiunque senza distinzioni».

L’impegno per il prossimo e la condivisione di manifestazioni tipiche di altri credi religiosi. Allora cosa rispondere a chi vede nei musulmani un pericolo? «È dato anche un po’ dall’ignoranza, questo pregiudizio, dal credere solo a ciò che ci trasmettono i media: se le persone sapessero realmente che cos’è l’Islam capirebbero che il terrorismo non c’entra nulla. È solo una questione di apertura mentale cercare di comprendere che cos’è l’Islam». Talune cronache però alimentano la diffidenza.«Ciò che dico sempre – risponde Aysha – è che non bisogna credere solamente a ciò che ci trasmettono i media perché cercano di puntare il dito sempre verso lo straniero, che sia musulmano o no. Dico sempre che persone cattive e buone ci sono ovunque, sia tra gli italiani che tra gli stranieri che tra i musulmani stessi».

Facebook Comments Box