Arbitro donna, di colore e con velo: lo spot che fa bene (non solo) al calcio

Nel 1998, viaggiando per la Spagna, la mia comitiva si fermò a Vigo. Ci imbattemmo in un campo di calcio sulla spiaggia, impreziosito dalle tribune. Vi giocavano ragazzi e adulti, rappresentanti di diverse nazionalità, ovviamente senza conoscersi. Ci infilammo anche noi nel campo e, senza neanche sforzarci di capirci con gli altri a parole, giocammo con gli sconosciuti compagni di squadra. Chiamavamo la palla con suoni imprecisati, battevamo mano con mano per complimentarci, non occorreva altro: le regole del gioco e le strade per arrivare alla porta avversaria erano nel dna di ognuno di noi. E l’entusiasmo per il gioco più bello del mondo.

Bellezza che troppo spesso si dimentica, per motivi più che noti. Tra i quali spicca la discriminazione. Magari non scaturita da razzismo, ma da quella maledetta voglia di offendere gli avversari, per cui si ricorre a ridicolizzarne talune caratteristiche. Facilissimo attaccare il colore della pelle. Abbandonarsi a stereotipi, quelli che hanno fatto inciampare anche un candidato alla Federcalcio (sic!).

L’ecumenismo del calcio lo ha appena esaltato lo spot tv di “Fifa 20”, il videogioco proposto da “Electronic arts” e da qualche giorno in commercio in Italia: arbitro donna, di colore e con velo. Appare per un istante, mentre fischia. La magia universale del pallone. Come quella mattina di tanti anni fa a Vigo.

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