Status di rifugiate alle donne vittime di violenza di genere

Il percorso che permette alle donne migranti, che hanno subito violenza, di accedere allo status di rifugiate e dunque di avere protezione, in base alla Convenzione di Istanbul, è sicuramente fra i più tortuosi.

In giugno scorso il gruppo Grevio (gruppo di esperte sulla violenza contro le donne del Consiglio d’Europa) ha messo in luce i numerosi ostacoli, di tipo istituzionale, che impediscono alla maggior parte delle donne migranti di accedere a delle forme di protezione. Il problema principale pare essere l’assenza di procedure utili a valutare la delicatezza di molteplici situazioni e, spesso, la scarsa preparazione nell’affrontare la tematica della violenza di genere.

Tali ostacoli rallentano la macchina istituzionale e quindi l’impegno che la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica ha sugellato in maggio 2011.

Sulla scia di ciò sono nati numerosi progetti, come Leaving violence Living safe che, dal 2017, mira ad accogliere, in tempi ristretti, le donne straniere vittime di situazioni violente e di tratta in arrivo in Italia.

 La maggior parte delle donne provengono dalla Libia e tantissime tra loro hanno delle dure esperienze alle spalle. In particolare, di recente la Cassazione (ordinanza numero 10 del 2021) ha decretato “più tutela per le extracomunitarie oggetto di tratta ai fini della prostituzione”. La vicenda riguarda una donna di origini nigeriane e, non avendo con sé alcun documento, è arrivata clandestinamente in Italia dopo esser fuggita dai trafficanti libici. Ma che la Corte territoriale non ha considerato credibile la vicenda in quanto non munita di documenti di identità.

In questa situazione la Cassazione ha invece asserito che l’assenza dei documenti non può costituire un elemento tale da poterle negare lo status di rifugiata. Facendo riferimento al timore di persecuzioni dirette e personali, in quanto giunta in Italia per sfuggire dalle violenze, che comprende anche quella sessuale.

Inoltre, proprio il preambolo della Convezione di Istanbul sancisce l’importanza di riconoscere la natura strutturale della violenza contro le donne, proprio perché questa trae origine dal genere.

In queste circostanze, la violenza pare essere una costante: dall’abbandono del luogo in cui si consuma la violenza, questa continua durante tutta la tratta. C’è di più: secondo l’UNHCR la maggior parte delle donne, non solo subiscono violenza durante la tratta, ma continua anche una volta arrivate in Italia.

L’egregio lavoro della Cassazione ha evidenziato uno dei principi guida in materia di protezione dei diritti umani: con il rimpatrio, la signora in questione correrebbe il rischio di subire ritorsioni, ecco perché è dovere dell’Italia, siglando il patto di Istanbul, concedere protezione (nelle diverse forme). La violenza di genere è una forma di persecuzione e di grave pregiudizio.

Facebook Comments Box