Agenda 2030, ” Il ruolo delle migrazioni per uno sviluppo sostenibile”

Del “Ruolo delle migrazioni per uno sviluppo sostenibile” si è parlato lo scorso 13 luglio a Montepulciano nell’ambito della manifestazione Luci sul Lavoro, in un evento organizzato dalla Direzone Generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in collaborazione con Anpal Servizi spa. È stata l’occasione per discutere delle nuove sfide del co-sviluppo alla luce dell’Agenda 2030, del ruolo delle rimesse e di quello delle comunità migranti come attori della cooperazione, ma anche per restituire i risultati del Programma La Mobilità Internazionale del Lavoro.
 
Al dibattito, moderato dalla giornalista Simona D’Alessio, hanno partecipato: Federico Soda, Direttore dell’Oim; Daniele Frigeri, Direttore del CESPI; Tana Anglana, membro del Consiglio Nazionale Cooperazione allo Sviluppo e del Summit delle Diaspore, Stefania Congia, Dirigente della Divisione II della DG Immigrazione del MLPS; Luigi Maria Vignali, Direttore Generale per gli italiani all’estero e le poltiche migratorie del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Il Direttore Federico Soda ha aperto il confronto osservando che è necessario un cambio di approccio nel rapporto tra migrazione e sviluppo sostenibile. Fino ad oggi, la cooperazione internazionale allo sviluppo in materia di migrazione è stata utilizzata dai Paesi economicamente più avanzati come strumento per ridurre e prevenire il fenomeno da Paesi poveri o del sud globale. Le migrazioni sono un fenomeno trasversale e mondiale, presente a tutte le latitudini con caratteristiche e modalità variabili e complesse. Pertanto, secondo l’ottica di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, tale fenomeno può essere compreso e governato solo se messo in relazione ad altri settori quali il cambiamento climatico, le tendenze demografiche, l’economia globale, l’evoluzione del mercato del lavoro e delle competenze, lo sviluppo delle reti commerciali, ecc. La gestione dei flussi migratori implica una logica multilivello, multi-attore e multi-laterale. L’Unione Europea deve ragionare in questa dimensione e proporre partenariati strategici al di fuori dei propri confini, attraverso un mandato unico e sovranazionale.

In ambito finanziario, secondo il Direttore Daniele Frigeri, l’impatto economico delle migrazioni sui Paesi di origine è sempre più visibile guardando all’aumento del valore delle rimesse internazionali negli anni, che non hanno risentito degli anni della crisi (fenomeno anticiclico). Le rimesse internazionali, inviate privatamente dai migranti, si attestano intorno ai 700 miliardi di dollari e hanno raggiunto il livello degli investimenti esteri globali. In alcuni Paesi, le rimesse rappresentano il 10% del PIL.  Affinché possano affermarsi come strumento di sviluppo economico, è necessario promuovere l’inclusione finanziaria, bancaria e assicurativa dei migranti e adottare prodotti ad hoc come, ad esempio, i Diaspora bond (titoli emessi dai Paesi di origine rivolti ai propri cittadini emigrati all’estero). Andando oltre la logica cash to cash tra privati, si dovrebbe innescare un sistema organizzato di finanziamento volto a promuovere misure e programmi di co-sviluppo. I migranti con profili finanziari e bancari più avanzati hanno aumentato la loro capacità di investimento nei propri Paesi di origine.
Nel suo intervento, Tana Anglana ha riflettuto sulla consapevolezza del legame nei fenomeni migratori tra le scelte dei singoli e i movimenti delle masse. Non si può guardare alle migrazioni senza inquadrarle in uno scenario più ampio a livello geopolitico, economico e culturale. Uno dei limiti dell’Agenda 2030 è riferirsi ai migranti come attori passivi delle politiche di sviluppo sostenibile. Diversamente, va ricercata e rafforzata la relazione tra migrazione e cooperazione. I migranti sono per natura “nativi cooperanti” e “generatori di ponti” (citazione di Marwa Mahmoud, componenti CONNGI e consigliera comunale a Reggio Emilia). Per cogliere questa opportunità, è necessarioriconoscere e professionalizzare il ruolo delle Diaspore come agenti di sviluppo dei Paesi di origine. In Italia, attraverso l’adozione della legge n. 125/2014, le Diaspore sono state ufficialmente considerate attori della cooperazione allo sviluppo. Questo pieno riconoscimento ha contributo a istituire il Summit (“esserci, conoscere e costruire”) con un ruolo di propulsione politica e a livello operativo a promuovere progetti di cooperazione (scambio di buone pratiche e conoscenze, innovazione tecnologica, ecc.) Le associazioni delle Diaspore vanno supportate in questo processo, accompagnate con percorsi formativi e professionalizzanti (“la prossima volta che ci incontrate, non chiederci da dove veniamo ma dove stiamo andando. E se vi va, venite con noi”).

Stefania Congia ha osservato che le migrazioni sono un fenomeno di massa e le politiche di cooperazione non vanno intese come strumenti per limitare i movimenti delle persone. È necessario offrire una alternativa attraverso una logica win-win in cui le politiche globali sono volte a migliorare le condizioni di vita delle persone ovunque esse vivano. Pertanto, l’Agenda 2030, poco incisiva sul fenomeno globale delle migrazioni, deve essere inquadrata assieme agli altri principali atti internazionali ed europei quali la Dichiarazione di New York del 2015, il Global Compact on Migration. Successivamente, ha tracciato un bilancio sull’azione svolta dalla DG Immigrazione con il Programma La Mobilità Internazionale del Lavoroanche grazie al supporto di AnpalServizi. Avviato nel 2005, il programma è stato concepito in modo flessibile e modificato in ragione dei mutamenti degli scenari migratori, economici e del mercato del lavoro. Nel corso degli anni sono stati promossi accordi in materia di lavoro con i Paesi di origine, progetti di formazione professionale, di migrazione circolare e legale. In una seconda fase, sono state realizzate azioni di capacity buildinge di empowerment degli operatori pubblici (Moldavia) in settori strategici (energie rinnovabili, agricoltura e pesca, cooperazione sociale). Il programma ha contribuito inoltre a migliorare gli strumenti di conoscenza dei fenomeni migratori in Italia, attraverso l’elaborazione di una reportistica periodica sulle caratteristiche socio-economiche delle maggiori comunità presenti.

L’Ambasciatore Luigi Maria Vignali ha concluso la giornata sottolineando che i fenomeni, quali anche quelli migratori, possono essere compresi nella loro complessità partendo sempre dalla conoscenza dei dati e da analisi approfondite. Una governance efficace dell’immigrazione deve partire da un approccio unitario a livello europeo e sovranazionale, in una logica multi-livello e multi-attore. È necessario promuovere canali di migrazione legale per sostenere i mercati del lavoro dei Paesi europei, in crisi di personale qualificato e manodopera in settori strategici; mettere leDiaspore al centro della cooperazione internazionale allo sviluppo, attraverso anche lo studio di strumenti di investimento che valorizzino l’impatto finanziario delle rimesse nei Paesi di origine; ridurre la platea di migranti irregolari impiegati in forme di lavoro nero o sommerso, che arrecano un danno alle economie interne. In termini di prospettiva, tutte queste componenti dovrebbero costituire un grande piano europeo e italiano per la promozione e la gestione del mercato del lavoro straniero, che diventi parte di un grande programma di co-sviluppo e di migrazione circolare. Un approccio triple-win situation, in cui ovvero vi sono utilità per tutti i soggetti in essa coinvolti: paesi di origine, paesi di destinazione e migranti stessi. Tale politica sarebbe finalizzata a mitigare anche gli effetti del cosiddetto brain drain, ossia della cosiddetta fuga di cervelli che diversi paesi stanno attualmente sperimentando, tra cui anche l’Italia (120mila lavoratori italiani che espatriano ogni anno).
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