Apertura delle Moschee in Italia, un problema infinito

In Italia, com’è noto, non c’è un riconoscimento formale tra lo Stato italiano e l’Islam e la mancanza di un concordato dove vengano definite le linee guida per poter procedere all’apertura di una moschea provoca un enorme vuoto normativo non indifferente, che spesso e volentieri sfocia in problemi tra le Amministrazioni locali e l’Associazione Islamica che gestisce il luogo di culto, dove a pagare le conseguenze sono i fedeli.

Molti sono i casi in cui le diverse associazioni hanno riscontrato vari problemi come quelle di Milano in via Faà di Bruno, Roma, Mestre (Venezia), Cinisello Balsamo (Milano), Susegana (Treviso), ma la lista è ben più lunga. La motivazione principale è sempre la stessa: la struttura di preghiera è considerata “abusiva” proprio per la poca chiarezza delle norme sui Centri culturali islamici che, per “tecnicismi”, non sono riconosciuti come moschee, ma associazioni.

Per correttezza di informazione bisogna ricordare che alcune associazioni aprono i propri luoghi di culto in ex garage, sottoscala, negozi con vetrine oscurate, che non hanno i requisiti minimi per garantire la sicurezza di centinaia di fedeli intenti a pregare, mentre in altri luoghi, pur disponendo dei requisiti di legge, sorgono altre tipologie di problemi quali la destinazione d’uso incompatibile, violazione del vincolo di utilizzo dell’immobile adibito impropriamente a moschea in zone non classificate urbanisticamente come aree religiose e via dicendo.

Ben conosciuta è la cosiddetta legge anti-moschee in vigore in Lombardia e varata dal Governo regionale a guida Roberto Maroni, che ha suscitato non poche polemiche soprattutto tra il Comune di Milano e la Regione accusata di ostacolare il diritto di culto. Come già sostenuto, servono regole chiare, perché i musulmani in Italia possano rispettarle, ma che siano leggi giuste.

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